Il fuggi-fuggi dal Pd alla deriva

L'incarico di traghettatore non piace a nessuno. È naturale: sarebbe una figura debole e inutile

Anna Finocchiaro con Sergio Chiamparino
Anna Finocchiaro con Sergio Chiamparino

Una cosa così non s'era mai vista, neppure nell'assai fantasiosa storia della politica italiana: anziché candidarsi e cercare di conquistare la segreteria del partito, leader e vice-leader del Pd fanno a gara per ritirarsi dalla contesa, per rinunciare alla poltrona infuocata, per rientrare nell'anonimato della folla. La corsa alla segreteria - o per meglio dire alla «reggenza», perché il vero segretario verrà scelto dal congresso nel prossimo autunno - è così diventata una colossale retromarcia collettiva che oscilla fra il ridicolo e il tragico.
Il Pd - che è pur sempre il primo partito italiano, ha da solo la maggioranza assoluta a Montecitorio, ha eletto i due presidenti di Camera e Senato e detiene le poltrone di presidente del Consiglio e presidente della Repubblica - è senza guida dal giorno dell'elezione di Napolitano. Che ci sia bisogno di qualcuno al timone lo capiscono anche i sassi: ma anche i sassi intuiscono che sedersi su quella poltrona, oggi, significa andare incontro al martirio.
La balcanizzazione del Pd è ormai un dato reale. Dopo la rovinosa battaglia per il Quirinale, nel corso della quale il generale Bersani ha bruciato, nell'ordine, Marini, Prodi e infine se stesso, ciascuno ha deciso di fare per sé. Alle vecchie correnti - veltroniani e dalemiani, ex popolari e neobersaniani - si sono affiancate, e in parte sovrapposte, le nuove tribù in guerra permanente per un seggio o, più spesso, una comparsata in tv: i Giovani turchi, i grilloidi alla Civati, i ragazzi di OccupyPd, i neocomunisti di Barca e, naturalmente, i renziani. Partito e gruppo parlamentare non comunicano più, gruppo parlamentare e governo diffidano l'uno dell'altro: trovare un punto di equilibrio, o anche di buonsenso, è ormai un'impresa disperata.
Come se non bastasse, il segretario che il Pd vorrebbe eleggere sabato prossimo, all'Assemblea nazionale, non dev'essere un vero segretario, dotato di pieni poteri, ma soltanto un «traghettatore» che si faccia da parte al congresso per lasciare il posto al vero segretario. Sentite Fabrizio Barca: «Se lasciamo tutto com'è, la base impazzisce, perché sembrerebbe che non è successo niente. Se però scegliamo un segretario subito, il cambiamento sarebbe troppo forte e il partito non reggerebbe». Dunque bisogna trovare una specie di «garante» venuto dal nulla e pronto a rientrarci. Che però sarebbe giocoforza debolissimo, privo di poteri reali di direzione, e insomma inutile: un non-segretario.
Non è dunque casuale il fuggi-fuggi generale dalla poltrona fino a ieri più ambita. Matteo Renzi era stato il primo a tirarsi fuori, all'indomani delle dimissioni di Bersani: «Corro per palazzo Chigi, non per la segreteria. Al partito mettete chi volete». Barca - che si è iscritto al Pd dopo aver annunciato di volerne diventare leader - lo ha seguito a ruota, spiegando che il suo lavoro di «ricostruzione politica» necessita di tempi lunghi.
Hanno poi innescato la retromarcia i due candidati più gettonati fino a poche ore fa: Guglielmo Epifani si è fatto eleggere presidente della commissione Industria e Gianni Cuperlo ha fatto sapere in giro che il suo nome «divide il partito« e dunque non può essere quello giusto. Entrambi si ripromettono di correre a ottobre, al congresso: e anche per questo vogliono evitare la graticola della «reggenza». Di una proroga di Bersani - idea che pure è circolata in questi giorni, per disperazione più che per convinzione - non si può nemmeno parlare. L'outsider Chiamparino, già tirato in ballo per il Quirinale da Renzi, ha risposto seccamente di non essere più iscritto al partito. E Anna Finocchiaro, al momento la più quotata dai bookmakers, ha spiegato che in caso di elezione intende fare il segretario a pieno regime, e che si candiderà al congresso: altro che reggenza.
Non stupisce dunque che anche ieri sia circolata con insistenza la proposta di un nuovo rinvio dell'Assemblea nazionale, dopo quello della scorsa settimana, o di una convocazione immediata del congresso, prima dell'estate. La riunione alla fine si farà, e ieri sera il vertice del Pd, allargato ai segretari regionali, ha provato a trovare un accordo. Ma i candidati continuano a fuggire, e il sito dell'Unità suggerisce che anche molti delegati se la stiano squagliando, mettendo a rischio il numero legale: ne servono 501 perché l'Assemblea sia valida. E senza Assemblea nazionale eleggere un segretario diventerebbe davvero molto, molto difficile.

segue a pagina 7

di Fabrizio Rondolino

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