Cari amici,
(...)Non ho niente da rimproverare ai magistrati, chiedo soltanto di fare bene e presto il loro mestiere.
La carcerazione preventiva quando è ingiustificata e i processi mass mediatici sono una barbarie italiana, da cui non riusciamo a liberarci, tant’è che, diversamente da quello che è successo molte volte nei tribunali, nei processi mass mediatici non ci sono mai innocenti: sono sempre tutti colpevoli, difetti e debolezze sono sempre reati.
Oltre ad annunciare agli amici e lettori di Tempi che il mio avvocato sta per depositare una serie di querele per diffamazione, colgo l’occasione per dirvi cosa c’è di reale in tutta la montagna di fango che mi è stata riversata addosso e che, cara Carla Vites, dovrebbe a tuo avviso provocare a Cl «un sussulto di gelosia per la propria identità».
C’eri talvolta anche tu, in quelle vacanze al mare, in quelle cene e lo sai e l’hai anche detto tra le righe dei tuoi sfoghi alla stampa. Nessun festino, nessuna occasione per tramare ai danni di chicchessia, nessuna riunione di affari. Mi rimproveri di essere stato trascinato mio malgrado in vacanze spendaccione, nel lusso e nello sfarzo.
Scusate, plotone di esecuzione della stampa politicamente avversaria, non è un reato. Le spese delle carte di credito di Daccò sono elevate perché si riferiscono a conti collettivi. E se ci sono biglietti aerei e una settimana di vacanza alle Antille con cifre importanti, scusate tanto, non sono Brad Pitt ma me le posso pagare, me le sono pagate col mio stipendio.
Le ricevute dei rimborsi delle spese anticipate da Daccò? Non le ho tenute, le ho buttate; scusate, è un reato? Scusate, esiste una legge che fa obbligo di tenere gli scontrini dei viaggi se questi viaggi non sono per lavoro, non vengono scaricati sulla Regione e, giustamente, rientrano negli affari del privato cittadino?
Carla, l’hai confessato tu, pur nella tua rabbia furibonda nei miei riguardi: niente stupidaggini lussuriose, niente combutte alle spalle del cittadino contribuente. Cara Carla, perché a scatenare la tua ira è bastata quella fotografia del governatore «mollemente adagiato su un letto megagalattico del salone del Mobile»?
Faccio un brutto mestiere, lo sai, un po’ come il chirurgo che deve entrare in sala operatoria e andare avanti a operare anche la mattina in cui avesse saputo che un amico ha perso il lavoro, ha avuto un lutto o, come mi hai severamente richiamato tu, è stato arrestato.
Ti assicuro, quella foto al Salone del Mobile rende ragione al dovere che io ho, specie in questo frangente in cui le fabbriche chiudono e la disoccupazione brucia la vita di tante, troppe persone, di dare supporto, partecipazione e, diciamolo, anche immagine all’Italia che tira la carretta, che cerca di ripartire, che lotta per ricreare posti di lavoro.
È un delitto, secondo te, secondo voi, amici, che un governatore accetti di farsi riprendere positivo e sorridente a simbolico sostegno in un salone dove si espone e si cerca di promuovere il lavoro delle nostre imprese in un momento in cui le imprese sono in crisi, l’esportazione langue e gli imprenditori suicidi non si contano più?
(...) Lo so che in un’altra dimensione, quella personale e prossima della nostra vita, la vicenda di Simone è importante almeno quanto il mio dovere istituzionale. E dunque, se anche nel mio tentativo di questi giorni - di fronte ad un bombardamento di domande in diretta con la redazione del Corriere della Sera e altrove - di difendere il buon operato e il buon nome della Regione Lombardia, trovi qualcosa di superficiale e affettato, mi scuso con te e con tutti gli amici.
È vero, Simone è mio grande amico da 40 anni. Come mio amico da meno tempo - è Piero Daccò, sia pure, e su questo Piero so che ne converrà, in una dimensione che non è, non può essere quella con chi, come Antonio, ha condotto le battaglie umane, politiche e culturali di una vita.
Non ti voglio Carla, non vi voglio amici, star qui ad annoiare con la rievocazione degli anni Settanta, quando con Antonio si resisteva in università contro quelli che ci sprangavano (e guarda caso oggi sono qui a darci lezioni di buona educazione civica). Né rievocare i primi passi in politica, quando Antonio entrava in Consiglio regionale in Lombardia (...). A un certo punto le nostre strade si sono divise perché Antonio fu spazzato via ingiustamente e ingiustamente recluso da inchieste che poi lo dichiararono innocente. (...) Può qualcuno dire che in questa amicizia Antonio abbia approfittato, nella professione che poi ha svolto all’estero e nelle società che ha condotto con Piero, della mia posizione di potere?
Qualcuno lo ha detto, certi giornali scrivono che se uno fa il governatore e i suoi amici si occupano anche di sanità, certo ci sarà del losco tra loro. Affarismo e familismo amorale, scrivono. Ebbene, la pensino come vogliono: se si trovasse quel che non c’è, e cioè che sono stato corrotto, con soldi o quant’altro; se si documentasse con una sentenza, non con le illazioni e le sole ipotesi d’accusa, che io ho fatto una sola cosa di ciò che mi addebitano aver fatto per distrarre uffici e denaro pubblico solo per fare un favore ad amici incapaci e incompetenti, ne pagherò tutte le conseguenze del caso.
(...) Esaminate con quanta generosità, come anche è stato ricordato su questo giornale, la Lombardia si è messa a disposizione e ha offerto una concretissima solidarietà alle regioni italiane più disagiate. (...)
Che cosa si deve giudicare: le mie camicie o i miei atti di governo? Le mie giacche o le mie leggi? (...) Non vi fate accecare dal buono o cattivo gusto delle mie cravatte sgargianti, o dall’antipatia, o simpatia che un presidente della Lombardia il cui temperamento e carattere può destare sentimenti quali che siano. Giudicatemi sui fatti, soltanto sui fatti di quanto è stato realizzato in questa nostra terra lombarda.
(...) Non ho fatto il governatore per andare a Roma e preparare chissà quali altri trampolini di lancio. Sono qui, al mio posto e alle mie responsabilità da quasi vent’anni, a sessantacinque anni. Cosa credete che mi preoccupi alla mia età e dopo questa lunga cavalcata al servizio della gente? Dice un salmo biblico, «gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti, passano presto e noi ci dileguiamo». Non coltivo deliri di onnipotenza o di immortalità. Conto soltanto di aver servito il mio popolo con la coscienza di un incontro, di una educazione, di un affetto per Cristo, dentro l’umiliazione di tutti i miei tanti e tanti peccati.
Non sono un uomo perfetto, non sono un uomo sempre all’altezza dei miei amici e degli insegnamenti che ho ricevuto. Mi perdonerete, ma non direte mai che non è vero. (...) Abbiamo commesso errori? Sì. Tutto quello che abbiamo fatto è riformabile? Sì. Bisognerà prendere atto puntualmente dei limiti di questo nostro amministrare? Sì. Ma questo dovrà deciderlo il popolo elettore, non i tribunali, né tantomeno le campagne denigratorie e diffamatorie.
Ma ribadisco: l’amicizia non è un reato, anzi è il segreto della vita buona (...). Per il resto, faccio tanti auguri, a te Carla e a tutti gli amici di continuare a combattere insieme la buona battaglia. E ai legittimi avversari e persino a coloro che mi considerano un nemico, anche a loro auguro un rapporto (...) che sia all’altezza della ragione e delle ragioni e non del pregiudizio, dell’ipocrisia e dei fanatismi che troppe volte abbiamo visto finire in intolleranza e violenza.
Ps.
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