Che jella, povero Maurizio Landini: l'ex cuoco mercenario di Putin ha fatto partire il suo tentativo di golpe contro il dittatore russo proprio nel giorno della Grande Manifestazione della Cgil (stavolta il tema sono i taglia alla sanità) a Roma. Oscurando così, inevitabilmente, quella che il capo sindacale immaginava come una giornata di gloria, con sé medesimo - da pontefice massimo della sinistra - ad officiare il connubio di piazza tra partiti e partitini, leaderucci e leaderini, Schlein e Fratoianni e Conte, sotto il suo sguardo penetrante. E di certo non è un caso se stavolta Landini, sempre loquace nel tuonare davanti alle masse festanti la sua confusa quanto ultimativa analisi geopolitica (in sintesi: Putin non sarà proprio uno stinco di santo, ma l'Occidente che arma l'Ucraina permettendole di difendersi dall'invasore è infinitamente più perfido e guerrafondaio) ieri sul tema non ha aperto bocca. Non sapeva proprio che dire, come tutti i «pacifisti» anti-Kiev colti di sorpresa dal collasso totale del marcio sistema putiniano. Niente: Landini lancia spietati ultimatum al governo Meloni: «Siamo dalla parte giusta e non ci fermeremo». Questa giornata (in cui il mondo, in verità, guarda più a Prigozhin che a lui) «non è solo una testimonianza, ma l'inizio di una battaglia». Poi cerca di allargare il tiro, promettendo di tornare in piazza a settembre, dopo le sospirate ferie: «Lo diciamo con chiarezza: abbiamo sempre difeso la Costituzione sia con la destra di Berlusconi sia con il centro sinistra di Renzi e non permetteremo neanche a questo governo di poterla cambiare, per la democrazia ed il valore dell'antifascismo e della giustizia sociale». Mentre il capo Cgil annaspa per guadagnarsi almeno un titolo su giornali e tv, i segretari di partito accorsi al suo seguito in piazza se lo contendono: Conte (in incongrua camicia nera) gli salta al collo, ansioso di farsi benedire dal capo Cgil come potenziale carta vincente del centrosinistra: «La nostra presenza qui - asserisce - è testimonianza convinta di un percorso e di una battaglia politica che stiamo facendo da tempo». Quale, non è chiarissimo. Elly Schlein, forte di un legame preferenziale col capo sindacale (che del resto ha mandato le sue truppe di pensionati a votarla alle primarie) pure lo omaggia affettuosamente sotto il palco. Poi Elly corre anche ad abbracciare Conte, che tentava di dileguarsi dalla manifestazione senza farsi fotografare al suo fianco. Il boss della Cgil, però, ricorda ad entrambi che i voti non si contano ma si pesano, ed è lui (e non loro) ad avere il coltello dalla parte del manico: «Ci sono 12,5 milioni di persone che hanno votato questo Governo, ma ce ne sono 18 milioni che a votare non sono andati», mentre solo «15 milioni hanno votato altre forze politiche». E molti di quei non votanti, fa di conto, «sono nostri iscritti e nostri lavoratori». É lui insomma a rappresentarli, e non i due litiganti dell'opposizione parlamentare. I quali saranno pure alleati di necessità oggi in Molise, ma alle prossime europee dovranno contendersi ogni voto. Mentre su ogni tema cruciale il loro posizionamento, anche parlamentare, è opposto: dall'Ucraina (a meno che Conte, se Putin se la vedesse brutta, non si affretti a cambiare di nuovo fronte) al Mes all'immigrazione, fino alle future presidenziali in Usa, Pd e Cinque Stelle si ritrovano ogni volta agli antipodi.
E nel Pd non sono più solo i riformisti a segnalarlo: ieri il responsabile Esteri del partito di Elly Schlein, Peppe Provenzano, avvertiva che le distanze ci sono e sono profonde, e che è proprio «dalla politica estera che passa la credibilità di un'alternativa di governo». Ergo, nessuna alleanza coi 5S può avere credibilità senza una netta inversione di tendenza su questi temi. Ma chi la farà?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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