I favolosi 36 anni del giudice pagato per mangiare e bere

La settimana appena trascorsa per Fausto Arrighi è cominciata così. Lunedì Cremona-Zagabria: 582 chilometri. Cena in un ristorante croato: «Deludente». Martedì Zagabria-Kranj: 174 chilometri. Pranzo in un ristorante sloveno: «Buono». Nel pomeriggio Kranj-Langenwang: 252 chilometri. Cena in un ristorante della Stiria: «Discreto». Mercoledì Langenwang-Vienna: 116 chilometri. Pranzo in un ristorante della capitale austriaca: «Bello, cucina contemporanea».

Nel pomeriggio Vienna-Klagenfurt: 304 chilometri. Pernottamento in un hotel del capoluogo della Carinzia: «Non classificato». Giovedì Klagenfurt-Venezia: 288 chilometri. Pranzo al ristorante Venissa Ostello sull'isola di Mazzorbo: «Brava questa nuova chef, Antonia Klugmann, che ha preso il posto di Paola Budel».

E alle ore 17 eccolo finalmente seduto ai tavoli del caffè Quadri, in piazza San Marco, mentre conversa col gestore Raffaele Alajmo. Stasera avrebbe cenato volentieri dall'altro Alajmo, il fratello Massimiliano, alle Calandre di Sarmeola di Rubano (Padova), ma purtroppo il ristorante tristellato è chiuso per ferie. Dovrà pertanto ripiegare, semel in anno, sulla cucina di casa propria. Venezia-Cremona: altri 225 chilometri. Totale: 1.941. Non ho osato chiedergli i programmi per il week-end.

E questa sarebbe la vita del pensionato? Se mantenesse la media dei quattro giorni descritti, a fine anno si ritroverebbe ad aver percorso 177.000 chilometri, più del doppio rispetto a quando lavorava, oltre quattro volte il giro del mondo all'equatore. Il fatto è che un assaggiatore di professione in pensione non ci va mai, e infatti Arrighi, dopo 36 anni di onorato servizio prima come ispettore e poi per un decennio come direttore della Guida Michelin Italia, a tempo perso s'è messo a girare non più soltanto il Belpaese bensì l'Europa intera per conto di una famosa catena internazionale, della quale, causa l'impenetrabile riservatezza che lo contraddistingue, non c'è verso di fargli sputare il nome. Sempre col medesimo incarico: giudice palatale.

Stufo - «meglio: fisicamente stanco» - di assegnare e togliere fiorellini a sei petali (le famose stelle, che quando diventano tre proiettano uno chef nell'empireo), forchettine rosse e forchettine nere (da una a quattro), Bibendum (l'omino Michelin col corpo formato da camere d'aria) e soldini a significare pasti più o meno accurati a prezzi contenuti, otto mesi fa Arrighi aveva mollato per raggiunti limiti d'età lo scettro della più celebre pubblicazione per gastronauti e dai 90 chili d'ordinanza era rapidamente sceso ai 70 del peso forma. Ma ora è già risalito a 73. Ciò rende consigliabile la prosecuzione delle terapie che lo hanno accompagnato nelle scorribande alimentari coltivate per metà della sua vita, e dunque pantoprazolo contro il reflusso gastroesofageo, betabloccante o aceinibitore o sartano («non saprei, tengo tutte le pillole mischiate in un barattolo») per l'ipertensione, aspirinetta cardioprotettiva («ho avuto una piccola ischemia»), con un occhio sempre vigile sull'ematocrito, che veleggia intorno ai 52-54, e al glucosio, stabile sui 120-130 milligrammi per decilitro di sangue.

Fondata nel 1900 dall'azienda di pneumatici per indirizzare gli automobilisti francesi verso approdi sicuri, la Guida Michelin vide la luce in Italia soltanto nel 1956, anche se, con le ferite della guerra ancora aperte, si fermava a Siena. Vent'anni prima era stata istituita oltralpe la figura dell'ispettore, che spesso faceva carriera sino a diventarne direttore. Con Arrighi sulla plancia di comando è arrivata a recensire 3.000 ristoranti e 4.000 alberghi e a vendere 200.000 copie l'anno (prima della crisi erano 50.000 in più). Oggi la dirige Sergio Lovrinovich, un trentasettenne pescato all'esterno, nel settore alberghiero.

Assai più fortunoso fu il reclutamento del giovane Arrighi, nato a Martignana di Po (Cremona) il 14 ottobre 1951. Dopo aver frequentato la scuola per il turismo, nel 1968 s'era messo a girare il mondo. Sei anni trascorsi fra Germania, Francia, Svizzera e Stati Uniti a imparare le lingue. «Pensavo che mi sarebbero servite per un lavoro immaginario, senza sapere che esso esisteva già: quello dell'ispettore che va, vede, controlla e riferisce». Al rientro in Italia, si prese un anno sabbatico, che, detto in termini meno alati, nelle sue intenzioni significava poltrire 365 giorni fra le coltri fino alle 11 del mattino.

La sua fortuna è di aver avuto due genitori, Rubens, casaro, e Lina, sarta (li ha tuttora, 89 e 87 anni), i quali si sono sempre alzati di buonora. Un giorno la madre lo buttò giù dal letto, ingiungendogli di aiutare il padre a tinteggiare le pareti di casa. «Mentre stendevo sul pavimento alcune vecchie copie del Giorno, mi cadde l'occhio su un annuncio economico della Michelin: “Cercasi addetto per guida turistica”. Io pensavo che si trattasse di fare il cicerone, non associavo le gomme per auto al libro dalla copertina rossa. Scrissi. Fui convocato a Milano. E fra 30 candidati scelsero me».

Perché proprio lei?

«Me lo sono sempre chiesto. Forse perché mi ero dichiarato disponibile a stare lontano da casa per lunghi periodi. Allora non avevo né moglie né figli».

Quanti locali visitava in un anno?

«In media 240. Spesso due al giorno. Sceglievo tre piatti intriganti e un dessert. Sufficienti per farsi un giudizio».

Andava in incognito?

«Sempre. Da direttore ero il controllore dei controllori, una specie di Cassazione del gusto, quindi andavo a verificare i giudizi dei miei ispettori. Essendo il volto pubblico della Michelin, diventava impossibile passare inosservato».

Sempre pagato il conto?

«Con la carta di credito aziendale. Faceva parte delle regole. Solo una volta, dopo una cena con un collega della Michelin in un ristorante della provincia di Siena, il patron disse: “Siete miei ospiti”. Non se ne parla nemmeno, replicai. Ma lui insisteva. Dovetti aspettare che tutti i clienti fossero usciti per evitare una piazzata. Alla fine mi portò il conto».

Come giudica Tripadvisor e le guide sviluppate in Rete dagli avventori?

«Non ci credo. Raccolgono giudizi soggettivi, non oggettivi. Diventano un calderone senza criterio, uno sfogatoio di rancori, una collezione di lodi talvolta sollecitate dagli stessi chef. Dove sono i conti pagati che giustificano la visita effettiva nel locale? E poi non tutti sanno cucinare e non tutti sanno mangiare. Il cliente è portato a mettere in luce solo gli aspetti negativi, magari soltanto perché ritiene d'aver pagato troppo. Un vero ispettore valuta anche i retroscena. Ha idea di quante volte dietro la perdita di una stella può esservi un problema di salute o un tracollo finanziario?».

Che cosa ricorda dei suoi esordi alla Guida Michelin?

«Era ancora l'Italia delle due cucine, quella toscana, che aveva fatto conoscere la carne rossa al Nord, e quella abruzzese, che aveva portato la carne d'agnello a Roma. Un'Italia di insegne blasonate: Giannino e Savini a Milano, Cantarelli a Samboseto, Dodici apostoli a Verona, Guido a Costigliole d'Asti, Gatto nero a Torino, Sole a Maleo, Antico Martini e Harry's bar a Venezia. Peppino Cantarelli è morto, Guido Alciati pure. Franco Colombani del Sole s'è suicidato nel 1996. Giocava a scopa con Gianni Brera, che era stato a cena da lui anche la sera dell'incidente stradale in cui perse la vita. Lo vidi una settimana prima del tragico gesto. La separazione dalla moglie e un furto lo avevano prostrato, ma sembrava in via di ripresa. Gli avrei ridato la stelletta, invece... Resiste Giorgio Gioco del Dodici apostoli. Giannino, Savini e Antico Martini sono decaduti. Quanto all'Harry's bar, l'abbiamo tolto dalla guida perché il prezzo non giustificava la successione veloce delle portate. Anche se Arrigo Cipriani per gli americani resta un'icona, non si pranza in mezz'ora».

Qual è l'errore più imperdonabile che possa commettere uno chef?

«Copiare da altri un piatto che non sa fare».

Lei che piatto vorrebbe stasera per cena?

«La terrina di pomodoro di Nadia Santini del Pescatore di Canneto sull'Oglio, uno dei sette tristellati d'Italia. La mangiai per la prima volta con un amico croato, Denis Ivosevic, che non riusciva a capacitarsi di come si potesse ricavare un piatto tanto perfetto da un solo, umile ingrediente. A tavola ero sconvolto perché mi era appena giunta la notizia della morte del nostro presidente Édouard Michelin, annegato a 42 anni nel naufragio della barca con la quale era andato a pesca di branzini nell'Atlantico, vicino all'isola bretone di Sein. Quel semplice piatto mi fece dimenticare per poche ore la tragedia».

Perché tolse una stella a Gualtiero Marchesi, il primo nel 1985 a ottenerne tre in Italia?

«Perché ne valeva solo due».

Possibile che abbia disimparato a cucinare fino al punto da non riaverla?

«Non deve chiederlo a me: fu in assoluto il mio primo tre stelle, piansi di gioia quando gliele assegnai. Vede, non è che un cuoco disimpari. Ma la cucina è in continuo movimento e può capitare che il tuo secondo chef non sempre sia all'altezza. A 83 anni subentra anche il fattore stanchezza. Non si toglie mai una stella quando le valutazioni della clientela sono unanimemente favorevoli».

Non ho capito la politica commerciale della guida rossa su iPhone. Michelin Italia: 7,99 euro. Michelin Spagna e Portogallo: 7,99. Michelin Germania: 7,99. Michelin Gran Bretagna e Irlanda: 7,99. Totale: 31,96 euro. Poi uno compra Michelin Europa, che contiene le stesse informazioni, e spende solo 14,99 euro, avendo per di più tutti i Paesi riuniti in un'unica applicazione. Assurdo.

«Lo apprendo da lei. Io sono nato con la carta e morirò con la carta. In ufficio avevo la collezione delle guide a partire dal 1900. Ogni tanto ne prendevo una a caso e la sniffavo».

Si mangia meglio oggi o si mangiava meglio trent'anni fa?

«Si mangia diverso, non meglio. Una volta la cucina era fatta di intingoli, il piatto lo sentivi nell'aria prim'ancora che in bocca. Oggi entri in un ristorante e non avverti alcun aroma».

Da pensionato quanto vorrebbe pagare al ristorante?

«Il sabato sera spendo dai 30 ai 40 euro».

E dove?

«Da Cattivelli, a Isola Serafini, nel Piacentino, dove vado per le lumache e i marubini, cioè gli agnoli in brodo».

Suor Germana, quella che cucina con gli angeli, mi ha spiegato: «Moralmente è un delitto spendere al ristorante più di 100 euro».

«Mi fa piacere d'avere la sua approvazione, visto che faccio parte della Conferenza di San Vincenzo e il giovedì distribuisco i pasti ai poveri nella parrocchia di Sant'Agostino, a Cremona. Quest'intervista mi costringe a saltare l'appuntamento e un po' mi dispiace».

Che cosa pensa degli chef che stanno tutto il giorno in televisione?

«Sono decisamente contrario, anche perché suscitano emulazione nei giovani. Gli chef devono stare ai fornelli».

Dica la verità: ha sempre rispettato l'ordine di scuderia che arrivava da Parigi e che le ingiungeva di premiare la linea francese in cucina.

«Che significa linea francese? Il ristorante ci è nato, in Francia: nel 1765, a opera del cuoco Boulanger, che per primo decise di preparare una blanquette con stinchi di capretto. Fino a quel momento nelle locande erano permesse solo due tipologie di cibo, il bollito e lo stufato, essendo le carni nobili destinate alle mense dell'aristocrazia. Boulanger subì persino un processo, ma dopo la rivoluzione fu definitivamente assolto dai giacobini, ben felici di pasteggiare come i re che avevano decollato. Lo stesso sostantivo ristorante viene dal verbo restaurer, ristorare, ed è stato mutuato da un versetto del Vangelo di Matteo che Boulanger aveva affisso fuori dalla sua taverna: “Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò”».

Ora che è in pensione può dircelo: chi è il suo chef preferito?

«Mi pareva che si fosse capito: Nadia Santini. Ma a Castel di Sangro sta crescendo Niko Romito, un solido abruzzese che non va in televisione e che sarà il cuoco del futuro».

Cesare Marchi sosteneva che la gola è il più perdonabile e socialmente il meno pericoloso dei vizi capitali, perché arreca danno solo a chi lo pratica.

E anche l'unico che aumenta con l'età. È così?

«Altroché! Però rifarei tutto. Non è stato lavoro, il mio, ma puro piacere. Ancor oggi mia madre non si capacita di come la Michelin abbia potuto stipendiarmi solo per mangiare e bere».

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