"I soccorsi non sono un crimine". La Stampa fa da megafono alla paladina delle Ong

Il naufragio in Calabria utilizzato dalla sinistra, delle Ong e dai media mainstream per scardinare il governo Meloni, accusato per le morti in mare

"I soccorsi non sono un crimine". La Stampa fa da megafono alla paladina delle Ong

Il naufragio in Calabria ha colpito tanti: una tragedia del mare che rende ancora più pressante la necessità di un intervento europeo nella gestione dei flussi. Eppure, nonostante il dramma obblighi a fare delle riflessioni, da sinistra non hanno perso occasione per sollevare la polemica contro il governo, supportando gli attacchi strumentali delle Ong. Le organizzazioni non governative, infatti, non hanno perso tempo a "usare" la tragedia come strumento politico contro l'esecutivo Meloni, cercando di manipolare l'opinione pubblica per addossare responsabilità inesistenti al decreto Piantedosi. Di questa propaganda si sono fatti portavoce numerosi media del maistream, come La Stampa, che ha concesso ampio spazio sull'edizione di oggi a Giorgia Linardi, portavoce della Ong tedesca Sea-Watch.

Ed è proprio nelle righe iniziali che parte l'assalto a Giorgia Meloni, colpevole di aver detto: "L'impegno del governo è impedire le partenze". Un concetto di buon senso, che non è solo quello espresso dal presidente del Consiglio italiano ma è l'obiettivo dell'Unione europea per difendere i confini e impedire le morti in mare. Eppure, dalle parti della sinistra e della Ong, anche un'affermazione così ovvia, solo perché proveniente dal governo, è una minaccia. Lo spiega la portavoce di Sea-Watch, con un'argomentazione pretestuosa: "La premier pare suggerire che non valesse la pena scappare dalle alluvioni che hanno sommerso il Pakistan causando milioni di sfollati per finire morti annegati nel Mar Mediterraneo, dove manca un dispositivo di soccorso europeo e si incatenano in porto le navi del soccorso civile".

Al di là dell'interpretazione forzata e surreale data dalla Linardi alle parole della Meloni, l'esponente della Ong parla di navi del soccorso civile che si "incatenano al porto". Eppure, negli ultimi mesi, se non anni, non risulta che navi delle organizzazioni non governative abbiano operato lungo la rotta turca. E sarebbe utile che Giorgia Linardi, o chi per lei, spiegasse in che modo il decreto Piantedosi potrebbe avere influenza sulle navi operanti nel Mediterraneo orientale, visto che gli interventi effettuati lungo quella rotta non avrebbero ragione alcuna di essere gestiti dall'Italia, né in ragione di pertinenza Sar e nemmeno di millantata vicinanza. Perché, se per quanto riguarda il Mediterraneo centrale il criterio del Pos più vicino viene usato, anche se impropriamente, per obbligare l'Italia ad aprire i suoi porti, operando sulla rotta turca questo non sarebbe in alcun modo possibile.

Invece, dopo aver puntato con violenza il dito contro Giorgia Meloni, "che tanto ci ha tenuto a proclamarsi 'donna-madre-cristiana' non si preoccupa di calpestare il doloroso diritto a partire dal proprio Paese di una bambina afghana", Linardi mette nero su bianco su La Stampa quello che la sinistra pretende che l'Italia faccia, senza condizione alcuna. "Le vite e il barcone spezzati a 150 metri dalla costa sono la prova che ciò che l'Italia può fare concretamente è andare incontro a chi si trova in pericolo in mare, con mezzi statali e incoraggiando l'attività complementare della società civile, fino a che il suo apporto non sia più necessario", scrive nella sua invettiva. Quindi, secondo questo ragionamento, l'Italia deve farsi carico di qualunque imbarcazione che si trova nel Mediterraneo e se accadono naufragi si deve addossare a priori la responsabilità. Va fatto notare alle Ong che il nostro Paese impiega già ingenti mezzi, uomini e capitali per effettuare gli interventi necessari nella sua zona Sar di competenza, come dimostrano i quotidiani interventi delle motovedette a sud del Paese.

L'attacco della Linardi dalle colonne di uno dei principali quotidiani italiani è un attacco anche agli uomini delle forze dell'ordine che non si tirano indietro quando vengono chiamati agli interventi in mare. Spesso, a rischio della loro stessa vita. Ma questo impegno all'Italia non viene riconosciuto, nonostante sia il Paese del Mediterraneo che mette il maggior impegno in tal senso, intervenendo in situazioni di emergenza anche quando la responsabilità ricadrebbe su altri Stati. Le parole della portavoce di Sea-Watch sono calibrate per far sì che passi un messaggio ben preciso all'opinione pubblica: l'Italia se ne frega dei morti in mare. E punta il dito contro il decreto Piantedosi, convertito proprio nei giorni scorsi: "Il paradosso dell'omissione di soccorso che diventa legge e il soccorso in mare che diventa un crimine".

Ancora una volta, le Ong pretendono di dettare legge in un Paese sovrano, di sovvertirne l'ordinamento legislativo e di imporsi anche sull'Unione europea, che con sempre maggiore convinzione si rende conto che la strategia dei porti aperti non è quella corretta. E per farlo, la flotta civile trova sponda e megafono nella stampa mainstream, impegnata a picconare il governo Meloni.

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