«Il principale errore in Libia l'ha commesso Giuseppe Conte tentando di tenere il piede in due scarpe. Invece fece bene il governo Gentiloni con Minniti portando fisicamente a Tripoli il presidente Fayez al-Sarraj e garantendo un governo unitario che controllava Tripolitania e Fezzan, le due regioni cruciali dal punto di vista dei flussi migratori e dei nostri interessi energetici». A sentir Arturo Varvelli, grande esperto di Libia oggi a capo della sede italiana del Consiglio Europeo per le Relazioni Estere, subito dopo arrivò il disastro. «L'errore strategico di Conte - spiega - è stato abbandonare Tripoli nel tentativo, impossibile, di tenere il piede in due scarpe. Tripoli ci chiedeva un aiuto contro il generale Khalifa Haftar. I Turchi lo hanno dato, noi no. E lì abbiamo perso tutto».
Gentiloni e Minniti avevano l'appoggio di Washington. Possiamo recuperarlo?
«Penso di sì. Nei giorni scorsi è passata da Roma una delegazione del Dipartimento di Stato molto interessata ai nostri rapporti con Libia e Algeria, soprattutto alla luce dell'influenza militare e politico economica esercitata in quei due paesi dalla Russia. Il loro timore è che Mosca punti a uno sgambetto capace di mettere a rischio i nostri accordi e le nostre infrastrutture energetiche. La verità è che, dopo un disinteresse iniziale analogo a quello dell'era Trump, lo scontro con Mosca spinge l'amministrazione Biden a occuparsi di Mediterraneo e Nord Africa cercando partner strategici. In tutto ciò l'Italia resta il candidato più affidabile assieme alla Gran Bretagna».
É possibile un'intesa con la Francia?
«Lo spererei. Quella con Parigi è stata una guerra tra poveri. La debacle francese in Libia e nel Sahel è stata totale. Per questo i presupposti per un'intesa ci sarebbero. Anche alla luce delle non facili relazioni con la Germania del Cancelliere Olaf Scholz. Ma le scorie del passato, lo dimostra il difficile rapporto Meloni-Macron, sono complesse da smaltire». L' arretramento dei nostri governi quanto ci è costato in termini di controllo dei flussi migratori? «Un po'. Non siamo ancora alle cifre del 2016 con 180mila sbarchi all'anno, ma i centomila arrivi del 2022 sono un segnale d'allarme».
L'Europa ci può aiutare?
«Nessun governo italiano, neppure quello di Mario Draghi, ha mai ottenuto qualcosa dalla Ue sul fronte migratorio. Il problema non si risolve nè appellandosi all'Europa, nè con i blocchi navali - che non si possono fare - nè illudendosi d'impedire l'incontro tra gommoni e navi delle Ong. L'unica soluzione è una stabilizzazione della Libia. Non è nè facile, nè immediata, ma è l'unica in grado di dare risultati».
La Guardia Costiera libica, che abbiamo finanziato ed equipaggiato, è meno disponibile alla collaborazione. La Turchia gioca un ruolo?
«Con la Turchia va trovata un'intesa. Ad Ankara più della Libia interessa il Mediterraneo Orientale dove però è bloccata. Dal questo doppio stallo, nostro e loro, può nascere un accordo. Ma con Ankara non deve trattare l'Italia, bensì l'Europa capace di agire da una posizione di maggior forza.
Oggi a Tripoli l'Eni firma un contratto da 8 miliardi, ma Ankara rende difficile anche il suo lavoro...
«Per questo l'Eni è favorevole a un accordo con i turchi. Magari concedendo qualcosa sul fronte delle prospezioni dove resta incontrastata regina».
Stando ai dati Ice le nostre aziende restano leader nonostante la latitanza dei nostri governi. Come mai?
«Merito di un'economia anarchica nella quale gli italiani sanno navigare molto bene».
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