Milano - «La discussione con la Lega è ancora in corso. Alcune importanti questioni però non ci convincono e potrebbero indurci a separare il nostro percorso». Più rottura che accordo al termine del vertice di ieri tra Pdl e Lega. Con la sintesi del segretario Angelino Alfano che viaggia veloce su Twitter al termine di un incontro che fa virare il barometro alla tempesta. Perché la richiesta del Carroccio, considerata irricevibile dal Pdl, sarebbe il ritiro della candidatura a premier di Silvio Berlusconi a favore dello stesso Alfano. O magari di un imprenditore in grado di far digerire l'accordo alla base leghista. E, in aggiunta, la pretesa di un'alleanza «gratis» solo in Lombardia, con la richiesta di mani libere alle elezioni politiche.
Un rilancio azzardato. O solo un modo per costringere Berlusconi a far la figura di quello che rompe la grande alleanza del centrodestra, mentre a porre paletti probabilmente inaccettabili sono altri. Durissima la reazione di Roberto Formigoni: «La Lega si conferma - ha twittato - nulla dà e tutto pretende. Viva Albertini Presidente». Ma alla fine il vero rischio per il Carroccio è di finire come la bella del paese che a forza di specchiarsi resta zitella. Mentre le brutte trovano marito e si accasano. E del resto la linea del Pdl sull'argomento è (o sarebbe) ben chiara. «Abbiamo avuto una solida e leale collaborazione per molti anni - ha spiegato ieri Silvio Berlusconi arrivando a Milano in treno - Non capisco quale vantaggio avrebbero a correre da soli. Non riuscirebbero più a portare le posizioni del Nord a Roma e noi insieme a loro perderemmo la Lombardia. L'alleanza non è obbligatoria». Un amarcord reso più pepato con una fosca previsione se il matrimonio non s'avesse da fare. «Se poi saremo in competizione - ha ricordato Berlusconi - cadranno in un tempo non lungo sia Piemonte che Veneto, oltre a cento amministrazioni comunali. Così la Lega sarebbe ininfluente».
Un antipasto piuttosto sapido all'incontro programmato per ieri da Berlusconi con Angelino Alfano, Formigoni, Denis Verdini e il segretario della Lega Roberto Maroni che l'altra sera alla Berghem Frecc di Alzano (Bergamo) era andato giù pesante. Offrendo a Berlusconi un accordo, ma «gratis, perché non conviene a nessuno consegnare la Lombardia alla sinistra». Come a dire alleanza in Lombardia per appoggiare la candidatura a governatore di Maroni, ma nessun accordo a Roma. Parole considerate arroganti dai vertici Pdl che avevano sperato nell'incontro di ieri per rilanciare il centrodestra unito. Ma in via Rovani, la residenza milanese di Berlusconi eletta ultimamente a quartier generale, dopo tanti annunci ieri pomeriggio Maroni non s'è proprio fatto vedere. Un'assenza annunciata anche da lui su Twitter con un messaggio non proprio accomodante. «Anche oggi sono nel mio ufficio in via Bellerio a preparare la campagna elettorale, più agguerrito che mai...». E, infatti, al vertice si presenta l'ex ministro Roberto Calderoli. Muto al momento di uscire. Più loquace il segretario lombardo Matteo Salvini, considerato un falco poco propenso a stringere patti con i berlusconiani. «La Lega non è alla ricerca di nessuno - le sue parole - Noi abbiamo Maroni, il candidato più forte. E anche il programma per vincere. Chiunque voglia si può aggiungere a noi». Con Maroni che detta chiaro il punto fondamentale. «Lombardia in testa è tenere a casa nostra almeno il 75 per cento delle tasse che paghiamo. Per aiutare giovani, famiglie e imprese».
Questo, spiega Salvini, «significherebbe ogni anno 40 miliardi in più, miliardi nostri peraltro, per le nostre aziende, le nostre famiglie, i nostri treni e i nostri ospedali. Questo per noi è un punto non negoziabile». Non solo. «Il Pdl non è in grado di mantenere questo impegno, perché chi glielo va a spiegare al Sud? Problemi loro».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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