L'eclissi di Letta, premier per caso ridotto a portavoce

Il piccoletto si è fatto stupidamente ammaliare dal mito della rispettabilità tecnocratica e della durata purchessia

L'eclissi di Letta, premier per caso ridotto a portavoce

Politica e pratica della scena pubblica fanno brutti scherzi. Comunque vada a finire il flirt tra Renzi e Berlusconi, chi ne esce male, malissimo, rimpicciolito oltre ogni misura ragionevole, è Enrico Letta. Prometteva qualcosa, perbene e bene educato com'è, ma ha mantenuto niente. Divenuto presidente del Consiglio per un biglietto della Lotteria vincente consegnatogli, Bersani perdente con lui spento numero due, da Napolitano e Berlusconi vincitori della mano civile del dopo elezioni, il piccolo Enrico ha perso il biglietto, dimenticato se stesso, la competenza, la bonomia tecnica, il lobbismo buono di derivazione andreattiana, e si è consegnato alla dimensione microscopica della piccola politica, dell'interdizione velleitaria, del tiriamo a campare più spicciolo, senza nulla di ereditato dai magisteri esibiti e vantati. Il piccolo Enrico era un leader di risulta e di nomenclatura, un esperto di nomine e sussurri, un sottosegretario per natura ed essenza, riperticato alla buona per risolvere un grande problema, che se non volete parlare di pacificazione era quello della normalizzazione dopo il grande caos politico e finanziario, nuova legge elettorale, qualche riforma possibile delle istituzioni, misure consistenti e serie per la crescita economica e la creazione di ricchezza e di lavoro. Intorno a lui succedeva di tutto. L'Europa arrancava, e lui dietro l'Europa che arrancava. Gli economisti seri lo bocciano su tutta la linea. Le cifre di mercato e lo spettro della deflazione, un rinvio epocale di qualunque prospettiva di crescita, allungano la loro ombra sul governo dell'inerzia e delle micromisure inessenziali. Ha fatto poco e male, senza coraggio, e lo sa perfino lui stesso. Berlusconi intanto si batteva contro lo sfondamento giudiziario del suo percorso ventennale di uomo di Stato, faceva le sue battaglie, subiva la scissione dei ministeriali piccolo-lettiani, i piccoli del piccolo, e alla fine con successo ribadiva un fatto: il consenso è ancora con lui, è un player anche alla vigilia dell'affidamento ai servizi sociali, la democrazia del popolo non è mai a disposizione delle storture politiche della giustizia faziosa. Renzi intanto vinceva una battaglia di rinnovamento generazionale e di stile nella sinistra perdente della vecchia cultura d'apparato e classista, lo faceva con i suoi metodi bullistici e fantasmagorici, un giorno Fonzie e l'altro Blues Brothers, ma lo faceva rischiando e conquistandosi anche lui il consenso di leadership, che è cosa diversa dalla forza apparente dell'egemonia sugli apparati e sulle reti di piccolo e grande potere.

Chi rischia rosica e chi non risica resta a bocca asciutta, fa magre figure. I due che fanno politica con impegno personale e senso delle istituzioni, si sono visti clamorosamente, in mezzo agli strilli dei mozzorecchi e ai sospiri dei tiepidi che il vangelo della battaglia ha sempre vomitato, per concordare qualcosa di credibile al fine di dare al Paese nuove regole del gioco. Possono fallire, ovvio, dovranno cercare compromessi, naturale, ma esistono. Il piccolo Enrico ha cessato di esistere, è il megafono del mugugno di Alfano, Lupi, Quagliariello e De Girolamo. E come è successo? È semplice. Il piccoletto si è fatto stupidamente ammaliare dal mito della rispettabilità tecnocratica e della durata purchessia. Pensa di essere andreattiano, ed è solo il servosterzo di un establishment senza forza e senza denari; pensa di essere andreottiano, e non capisce che la durata del Divo Giulio era legata a roba forte, il '48 di De Gasperi, la guerra fredda, la politica estera colma di ambigua pertinenza, il governo dei dati di fatto in epoca di grandi contrasti ideologici, una cultura della chiacchiera che rendeva eterna la simpatia romanesca, il papismo come stile di vita e di obbedienza, le alleanze spericolate, la fantasia al potere. Il piccolo Enrico queste cose non sa nemmeno dove stiano di casa. Ha letto l'Economist, fascicolo dopo fascicolo, ma si è dimenticato di leggere un po' di storia. Montanelli disse una volta che il problema degli italiani era far tacere Andreatta e far parlare Andreotti. Una bella battuta. Ma non aveva ancora visto il nipotino dei due, uno che non sa né tacere né parlare. Meglio Renzi, ovviamente, che forse ha letto di meno, si è fatto da solo e non è stato pasciuto da lobby eterogenee, e in più possiede un istinto personale, come il Cav, in grado di dirigere le energie, dare ad esse un senso per il pubblico della politica e un significato per le istituzioni. Al piccolo Enrico non è restato, di fronte al suo mondo di riferimento che gli cambiava sotto il naso, niente altro che il piccolo veto, la sottana del presidente della Repubblica sempre più riluttante a farsi ingabbiare dal politicismo senza principi e senza nerbo del suo ex pupillo.

Un uomo di Stato fatto e finito di quasi ottant'anni, ma sorridente e giovanile nonostante tutto, e un ragazzo di Stato nel suo farsi, giovanilista e un po' cazzaro in tenera età, ora producono fatti politici primari, come che vadano poi le cose, e al micropresidente del microgoverno non restano che gli alti lai, i sussurri invidiosi, i dispetti, le manovre di quarta categoria per fermare il treno che deve riportare l'Italia alla legittimazione politica di un vero potere parlamentare ed esecutivo, di fronte all'arrogante pretesa di supplenza faziosa della corporazione togata.

Questa piccola promessa mancata, questo eterno nipotino, che credeva di comprarsi la verità del potere con le gitarelle «destinazione Italia» a New York e a Berlino, che voleva fare politica senza fare politica, che sapeva solo dire sta-bi-li-tà, ripetendo a pappagallo un mantra senza senso e proponendosi come sensale del semestre europeo, figuriamoci, ora può al massimo proporsi di vivacchiare con un compromesso salva vita del governino che invano presiede, ma è destinato, lo sappiamo tutti, al più amaro confronto con la realtà. Gli troveranno un posto, e se ne sbarazzeranno.

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