Roma - Possibile che Giovanna Melandri, quella dell'«indennità zero», debba rinnegare quel che ha sempre detto circa il suo stipendio da presidente del museo Maxxi di Roma? Solo 7 mesi fa ha assicurato: «Vado gratuitamente a rilanciare un'istituzione pubblica». Adesso Dagospia rivela che l'ex ministro avrà uno stipendio d'oro e lei non smentisce. In serata precisa solo: «Manterrò la promessa di regalare un anno di lavoro per il rilancio del Maxxi». Un anno, che sta quasi per finire. E poi...
Esce fuori, sul sito di Roberto D'Agostino, che ad aprile la fondazione ha ottenuto lo status di ente di ricerca, alla conclusione di un iter iniziato 2 anni fa. Così cade l'impedimento denunciato in passato dalla stessa Melandri: «Una legge del 2010, secondo me sbagliata, ha introdotto il criterio per cui chiunque amministri una fondazione culturale non percepisce stipendi o indennità».
L'ex ministro della Cultura Francesco Profumo, dice Dagospia, poco prima di andarsene ha appunto cambiato la destinazione d'uso della struttura, da museo ad ente di ricerca. Così, l'ex parlamentare del Pd incasserà «un lauto stipendio (tutti soldi pubblici), lo stesso del suo omologo alla Biennale di Venezia Paolo Baratta». Cioè, 145mila euro lordi l'anno, più benefit vari.
Al museo d'arte moderna spiegano che sarà il prossimo consiglio d'amministrazione a stabilire quando e quanto. Ecco, appunto. «A decidere l'entità del compenso - sottolinea Dagopia - saranno due consigliere d'amministrazione indicate dalla stessa Melandri».
Dettagli? Ma non si è troppo maligni pensando che lei certo non ignorasse che, da un momento all'altro, l'ostacolo sarebbe caduto e avrebbe avuto il suo bello stipendio, gestendone le modalità da una posizione di forza. Perché, allora, parlare tanto di lavoro gratis, di missione per creare «la Tate Modern italiana», rispondendo alle polemiche sulla sua competenza, da destra e sinistra?
Anche l'entità della retribuzione conta, almeno in tempi di crisi e rigore. Quando si dimise da parlamentare dopo 5 legislature e trovò pronto il nuovo incarico, qualcuno disse che puntava ad un compenso di «300mila sterline l'anno» (circa 263mila euro), come quello dei colleghi della prestigiosa Tate Modern di Londra. Lei reagì sdegnata. Ma forse non era tanto sbagliato.
Sulla vicenda c'è grande imbarazzo. Si percepisce anche nel modo in cui è stata gestita la notizia. Il «giallo» dura fino a sera, perché per lunghe ore l'interessata tace. Non smentisce, né fa alcun commento. La cautela è d'obbligo perché in più occasioni la Melandri ha minacciato querele a gogo per chiunque dica che per il suo ruolo prende un soldo. Quando finalmente arriva il lungo comunicato di precisazione si capisce che non smentisce nulla, anche se l'ammissione è annegata in un fiume di parole: «La trasformazione in ente di ricerca, avviata circa 2 anni fa dal precedente Consiglio di amministrazione, è un'ottima soluzione per il Maxxi, che può così ampliare la sua rete di rapporti con analoghe istituzioni internazionali e sviluppare la sua innata vocazione di centro di studio e ricerca, anche nel contesto europeo». Ok, non c'è dubbio. Ma lo stipendio? Ecco: «Personalmente - dice la Melandri - avevo promesso al ministro Ornaghi che avrei regalato un anno del mio lavoro per il rilancio del Maxxi. A prescindere dall'iter avviato dal mio predecessore per il riconoscimento come ente di ricerca.
Vuol dire che fino a novembre prossimo lavorerà gratis? Alla lettera, la nota questo vuol dire. Ma all'ex ministro interessa più parlare dei suoi risultati: le mostre «bellissime», il pubblico aumentato del 30%...
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