Memoria, folklore o eversione nera: quando le braccia tese diventano un reato

Dalla Legge Scelba del Dopoguerra agli ultimi interventi contro il razzismo. La materia è in mano ai Tribunali

Memoria, folklore o eversione nera: quando le braccia tese diventano un reato
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Esposti in Procura, interrogazioni parlamentari, l`indagine e la valutazione dei fatti da parte della Procura di Roma. L`adunata con saluto romano avvenuta domenica nell`anniversario della strage di Acca Larentia diventa un caso giudiziario. I magistrati attendono una prima informativa da parte della Digos, così come sono in fase di analisi le riprese effettuate dalla polizia scientifica per identificare i partecipanti. Acquisiti tutti gli elementi, la Procura deciderà se procedere con la formale apertura di un fascicolo di indagine. Il punto è stabilire se quanto avvenuto domenica rientri o meno nel reato di apologia del fascismo.

Le leggi a cui fare riferimento sono la Scelba del 1952, che sanziona ogni tipo di esaltazione di principi, metodi e fatti del fascismo, e la legge Mancino del 1993 che punisce l`incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali. La fattispecie riguarda il complesso «di azioni e comportamenti diretti alla ricostruzione del partito fascista» da parte di «una associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque, che persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia».

Ma quanto accade alle commemorazioni può davvero considerarsi apologia di fascismo? Secondo il giurista Marco Pelissero, interpellato da Vanity Fair, dipende dal quadro generale in cui si presentano queste manifestazioni e dal pericolo che corre la democrazia. «Non sono rilevanti penalmente tutte le ipotesi di esaltazione fascista, ma solo quelle che hanno il concreto obiettivo di ricostruire il partito fascista». Il saluto romano non è dunque reato in sé. Dipende se diventa strumento per un incitamento all`odio e funzionale alla riorganizzazione del partito fascista. Ugualmente non possono ricadere in questa fattispecie le immagini di Mussolini sui gadget visto che la Legge Fiano non è mai diventata legge. Sulla questione dell`apologia di fascismo è stata spesso chiamata in causa la Corte Costituzionale, in particolare con due sentenze una del 1957, l`altra del 1958. Alcuni esponenti del Msi contro cui si tentò di utilizzare la Legge Scelba si appellarono all`articolo 21 della Costituzione che garantisce la libertà di espressione, sostenendo che veniva violato dall`articolo 4 della legge stessa. La Consulta nel gennaio del 1957 stabilì che la legge Scelba non violava la Costituzione. Ma allo stesso tempo precisò che per esserci una vera e propria apologia di fascismo non era sufficiente «una difesa elogiativa» del vecchio regime, ma occorreva «una esaltazione tale da potere condurre alla riorganizzazione del partito fascista». Nel dicembre del 1958 la Corte stabilì che le manifestazioni erano vietate, ma solo nel caso in cui fossero propedeutiche alla ricostruzione del partito fascista e che una commemorazione funebre non costituiva un atto favorevole a questo obiettivo.

Nel 1993 con il decreto Mancino si cercò di restringere il perimetro della propaganda e dell`esposizione dei simboli fascisti. La legge stabilì il divieto di esibire bandiere, slogan o altri simboli di organizzazioni violente o discriminatorie durante gli eventi sportivi, e rese più chiaro il divieto di fare propaganda al fascismo. Oggi periodicamente i tribunali sono chiamati ad esprimersi su saluti romani in luoghi pubblici.

L`interpretazione prevalente resta quella che non è reato fare un saluto fascista se non c`è il pericolo di riorganizzazione di un nuovo partito o il perseguimento di finalità antidemocratiche. La risposta, insomma, alla domanda se il saluto romano rappresenti o meno reato è apparentemente semplice: dipende dal contesto. Più complesso tramutarla in sentenze e in certezza giuridica.

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