Almeno nelle ambizioni italiane, avrebbe dovuto essere uno dei principali dossier sul tavolo del Consiglio europeo in programma giovedì 22 e venerdì 23 a Bruxelles. Invece è altamente probabile che il tema migranti sarà discusso davvero en passant, con un veloce aggiornamento sullo stato di attuazione delle misure già decise lo scorso febbraio, ma senza aprire un nuovo confronto. Questo, almeno, stando all’ordine del giorno dei lavori del prossimo summit (odg che, va detto, è ancora provvisorio). In agenda ci sono infatti quattro punti: «Ucraina», «competitività, mercato unico ed economia», «energia». Con la questione immigrazione che sarà assorbita nell’ultimo: il consueto – e generico – «altri punti». Con buona pace del pressing italiano e della lettera che Giorgia Meloni aveva scritto ai vertici delle istituzioni Ue dopo la tragedia di Cutro.
Sotto il profilo decisionale, insomma, non ci saranno novità rispetto a quanto già stabilito nella riunione straordinaria del Consiglio Ue del mese scorso. Anche se politicamente – e non è certo un dettaglio – il governo italiano incassa la lettera di Ursula von der Leyen, scritta proprio ieri e indirizzata a tutti i capi di Stato e di governo dell’Unione. Una missiva in cui la presidente della Commissione Ue fa il punto delle misure adottate a febbraio, ma che ha un forte impatto politico a sostegno delle ragioni dell’Italia. D’altra parte, al di là delle parole – quelle dette e quelle scritte – non è certo un segreto che sul tema migranti ci sia una resistenza dell’Europa che conta.
Per ragioni diverse. Intanto, c’è la storica freddezza di Francia e Germania, che già la scorsa settimana avevano lasciato intendere alla diplomazia italiana di non essere inclini a riaprire il dossier migranti nei termini auspicati da Roma. Scetticismo a cui si sono aggiunte le turbolenze sui mercati finanziari dopo il crac di Silicon Valley Bank e Signature e dopo il salvataggio in extremis di First Republic Bank e del Credit Suisse. Uno scenario che riporta alla mente le crisi del 2007 (mutui subprime) e 2008 (Lehman Brothers). E che, inevitabilmente, assorbirà buona parte del dibattito nel prossimo Consiglio Ue. Peraltro, vista la situazione e i timori sui mercati, c’è anche il rischio che qualcuno a Bruxelles ponga il tema del Mes, visto che l’Italia è l’unico dei venti Paesi dell’Eurozona che non ha ratificato il Trattato.
Il punto, infatti, è «approvare» e non «accedere» al Meccanismo europeo di stabilità (eventualità che Meloni continua a respingere con forza, ma che non è l’oggetto del contendere). Una distinzione niente affatto irrilevante, con il governo italiano che con il suo temporeggiare blocca il via libera al Mes (che senza l’unanimità resta congelato). Uno scenario complesso e nel quale è davvero difficile immaginare che Meloni possa uscire dal prossimo Consiglio Ue trasformando gli annunci (anche quelli arrivati a febbraio da Bruxelles) in accordi comunitari.
Sia sul ricollocamento automatico degli arrivi che sul rafforzamento delle missioni di soccorso e recupero in mare, infatti, la strada sembra lunga. La premier – anche grazie ai buoni uffici in Europa del ministro Raffaele Fitto – incassa però la lettera di von der Leyen. Una missiva in cui viene dato ampio spazio alle ragioni dell’Italia per una soluzione «equa e duratura» che «è possibile solo attraverso un approccio europeo», con altri 110 milioni che la Commissione mobiliterà nel 2023, «addizionali ai 208 già impegnati perla cooperazione anti -trafficanti».
I timori di Palazzo Chigi di tornare dal Consiglio Ue a mani vuote, dunque, sono mitigati dalla vittoria – tutta politica – di aver visto riconosciute le proprie ragioni da von der Leyen. Che mette nero su bianco una condivisione delle preoccupazioni italiane, facendo sponda anche sulla strategia di Meloni di puntare a una serie di accordi e finanziamenti ai Paesi di partenza per il controllo dei flussi («la Tunisia vive un momento di grande difficoltà e deve essere finanziata in tempi rapidi», spiega il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, tornando su un tema caro a Meloni).
È anche in quest’ottica che la premier ieri ha sentito il cancelliere tedesco, Olaf Scholz. Un colloquio nel quale si è ovviamente discusso del dossier Ucraina (con il via libera a un piano da due miliardi per nuove munizioni a Kiev), ma affrontando anche la questione migranti, con l’intesa su «una rapida attuazione delle decisioni del Consiglio Ue di febbraio».
E sempre di emergenza migranti Meloni ha parlato in un faccia a faccia nei suoi uffici di Montecitorio con il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi. Un incontro a cui erano presenti il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, e il ministro per gli Affari Europei, Fitto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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