Mario Monti, Urbano Cairo, la Moratti, Giovanni Malagò che sembra stia entrando sul prato del Parco dei Principi, la Pascale già dentro, seduta davanti, con degli enormi occhiali da sole, ed è single. Briatore, asciuttissimo, e la Gregoraci, maestosa, sono in coppia. Ilary Blasi no. Donne bellissime in nero si aggirano per il Duomo, un monsignore è intervistato sotto la meridiana e fuori le bandiere non smettono di sventolare: del Milan, di Forza Italia, d`Italia, e uno striscione, con la sua foto, ricorda che «L`Italia è il Paese che amo».
Alle 14 piazza Duomo è già piena. C`è gente che è qui dall`alba, alcuni dalla notte. Arrivano da Reggio Emilia, da Caserta, da Gaiarine, Marca Trevigiana, da Palermo, o da Alpignano, Turin... È da ore che aspettano e applaudono. Sono qui per Silvio, e intanto per proprietà transitiva s`accontentano di coloro che di Silvio erano intimi: «L`hai visto? Eccolo là Zangrillo...».
Dentro, in Duomo, dove si entra solo con invito o accredito Mediaset, arrivano alla spicciolata. Davanti, primissime panche, c`è ovviamente la famiglia allargata: figli, mogli, nipoti, amici strettissimi - Galliani, attonito, Marcello Dell`Utri, magrissimo, col bastone, malato e ieratico - e poi i politici, a scalare all`indietro, dai vertici di Stato ai fedelissimi del Partito: da Antonio Tajani alla Bernini, abbronzatissima, le signore fiere dei loro foulard di Forza Italia, e poi i bipartisan, Boccia-De Girolamo, gli avversari leali, come Renzi, e quelli meno. Una domanda: «Cosa ci fa qui Gad Lerner?».
Ci sono tutti i direttori dei giornali, da Mentana a Del Debbio e Giordano. L`intero mondo Fininvest e dello spettacolo. Le navate laterali, tenute vuote, sono riservate alle scorte, alla sicurezza e al Monza Calcio. Quella centrale alle 14,30 è un via vai di personaggi. Ezio Greggio, a tre quarti della navata, è fermato da una hostess: «Non ci sono molte chance di posti da qui in poi». Gerry Scotti è più fortunato: è seduto a metà navata. Poi in abituale ritardo Vittorio Sgarbi sfila di fianco a tutti col suo seguito. E alla fine sedute nelle panche ci sono duemila persone.
Fuori sono in 15mila. La piazza ne conterrebbe più del doppio ma per la sicurezza si è deciso di contingentare il numero. La metropolitana è tutto il giorno che salta la stazione Duomo. Il sagrato è sgombro, a parte il picchetto d`onore, per accogliere il feretro. E per il resto è pieno di polizia, camionette, vigili e molti turisti ignari del fatto che l`Italia sta cambiando. Berlusconi è morto, il berlusconismo sta così così, l`antiberlusconismo sopravvive a se stesso. C`è anche una signora con una maglietta con su scritto: «Io non sono in lutto». Tutto intorno contestano la contestatrice.
Oggi a Milano non c`è un sole pieno, ma fa caldo, è umido, e si è stretti contro le transenne. Fuori - prima, durante e dopo - si alternano silenzi e cori. «Silvio, Silvio, c`è solo un presidente». A un certo punto si sente «Chi non salta comunista è». Ma il clima è di compostezza.
Dentro il Requiem gregoriano è alternato con i versetti polifonici di Tomás Luis De Victoria e il Beati mortui di Mendelssohn. Una collega, vicina di posto, dice che «Appena entra la bara lo so già che scoppio a piangere». E non è nemmeno del Giornale...
Emanuele Filiberto di Savoia è impeccabile. Lele Mora è l`unico in tutta la cattedrale con una camicia colorata. Claudio Scajola stringe la mano a tutti, come un piccolo Andrea Doria. Draghi è una sfinge. Umberto Bossi in carrozzina: entrando, Giorgia Meloni è il primo che saluta.
Non è il caso, ma si potrebbe dire che i funerali di Stato di Berlusconi hanno qualcosa di scespiriano, fra la tragedia e la commedia. L`alto e il basso a cui ci ha abituato. Fra Mattarella e Joe Squillo ci saranno non più di quindici panche. Davanti a noi c`è Gentiloni e dietro Claudio Cecchetto con le sneakers. C`è Maria De Filippi, ma nemmeno un selfie. C`è una corona di fiori di Belen, c`è Dino Giarrusso vestito da Iena e c`è Irene Pivetti, raccolta, che fa la comunione. Le sacré et le profane. Davanti a Berlusconi sono tutti uguali. In fondo, e non è un paradosso, è una forma di comunismo realizzato.
Alle 15 esatte, con puntualità televisiva, annunciato da una scossa di adrenalina che parte dalla piazza, il feretro entra in Duomo: viene appoggiato sul marmo, su un tappeto. L`applauso dura sei minuti, ed è tantissimo. Si ripeterà alla fine dell`omelia dell`arcivescovo Mario Delpini - «Una predica magnifica, cattolica, senza i moralismi gonfi d`odio à la Rosi Bindi» fa notare un vicedirettore di nobile testata, devoto senza essere ateo - e ancora più intenso quando, alle 16 in punto, con rito ambrosiano e milanese, è tutto finito.
Sulla soglia fra la chiesa e il sagrato, guardando la piazza, mentre esce il corteo, una signora dice a bassa voce a se stessa: «Che meraviglia, guarda». E sta fotografando il popolo che sventola stendardi e grida: «Silvio, Silvio, Silvio!».
Sotto le scalinate Mattarella si ferma a stringere le mani a tutta la famiglia Berlusconi, sopra le scalinate è una parata di abiti blu e occhiali neri. Iva Zanicchi sgomita un po`, poi desiste e dice a un accompagnatore: «Mica possiamo andare davanti al presidente!».
Ma poi, il «presidente», chi è? Mattarella o Berlusconi?
Qualcuno è commosso, qualcuno riesce a toccare il carro funebre. È il saluto per l`ultimo viaggio.
La famiglia e i politici sono andati via.
L`ultima parola è il grido di un signore di mezza età con la sciarpa del Milan e una bandierina di Forza Italia: «Grazie Silviooo!».
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