«No» dei giudici alla richiesta dell'ennesima visita fiscale. Udienza rinviata al 23 marzo

MilanoIl poco invidiabile record di tre visite fiscali in sette giorni sfuma al termine di una breve camera di consiglio dei giudici della Corte d'appello di Milano. Eppure il Cavaliere ci va molto vicino. Perché, nell'udienza del processo Mediaset di ieri mattina, il procuratore generale Laura Bertolè Viale contesta la certificazione con cui i legali di Silvio Berlusconi chiedono il legittimo impedimento. «Non si capisce se è per le sue condizioni di salute - dice il rappresentante della pubblica accusa - o perché deve andare a votare in Senato». Per questo, il pg chiede al Tribunale un nuovo accertamento medico o, in alternativa, una documentazione più precisa che attesti la presenza dell'ex premier alle votazioni di Palazzo Madama. «Silvio Berlusocni - aggiunge - non so se sia a casa, non so se sia al San Raffaele. Per la sua salute un conto è venire qui, un conto è affrontare un viaggio per andare a Roma». Ma l'ennesimo scontro tra il Cav e gli uffici giudiziari milanesi viene disinnescato dal collegio presieduto dal giudice Alessandra Galli, che accoglie l'istanza della difesa e rinvia il processo al 23 marzo, riconoscendo che Berlusconi è «impedito a comparire in udienza» perché impegnato nella seduta per le votazioni della seconda carica dello Stato, «come accertabile dal sito del Senato». Respinto, invece, l'impedimento dei legali dell'ex premier, Nicolò Ghedini e Piero Longo, anch'essi impegnati in Parlamento e sostituiti ieri da un avvocato d'ufficio.
Nuova udienza, dunque, tra meno di una settimana. Cosa accadrà? Con ogni probabilità il processo Mediaset - in cui il Cav, imputato per frode fiscale, è stato condannato in primo grado a 4 anni di reclusione e a 5 di interdizione dai pubblici uffici - si fermerà a un passo dalla sentenza d'appello. In calendario, infatti, erano già previste proprio entro il 23 marzo le arringhe delle difese e la decisione dei giudici, ma il legittimo sospetto avanzato due giorni fa dai legali di Berlusconi ha sparigliato le carte. Una mossa non del tutto inaspettata, considerata l'inarrestabile escalation del conflitto tra l'ex premier e le toghe milanesi, e rischiosa. Perché verosimilmente il tribunale di Milano sospenderà i processi fino a che la Cassazione non si sarà espressa sull'ammissibilità della «rimessione», ma in caso di sconfitta davanti alla Suprema Corte per il Cavaliere la strada sarà pressoché segnata. E sia il processo Mediaset sia quello sul cosiddetto Rubygate arriveranno in breve a sentenza.
La partita si sposta così nelle stanze di piazza Cavour, a Roma. Berlusconi ha inviato un dossier di 40 pagine nel quale ripercorre l'incedere della macchina giudiziaria milanese, che «in assoluto contrasto non solo con la prassi e con il buonsenso, ma anche con gli auspici recentemente rivolti dalle alte cariche dello Stato», gli impedirebbe di «svolgere la propria attività politica».

Un Palazzo in cui «l'imparzialità dei giudici è irrimediabilmente minata e non consente la prosecuzione del processo», dove un'indagine - il Rubygate - è stata assegnata «senza ragione» e in «palese incompatibilità» per «ragioni economiche» a causa di alcuni procedimenti civili intentati nei confronti «di società possedute o controllate dall'onorevole Berlusconi» al procuratore aggiunto Ilda Boccassini, responsabile in aula di situazioni «pregiudizievoli per l'imputato» che «un collegio super partes» avrebbe «certamente evitato». Mentre in un altro processo - Mediatrade - il pm Fabio De Pasquale «continua reiteratamente a porre domande del tutto inutili rispetto al capo di imputazione, perché Silvio Berlusconi è stato prosciolto».

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