La protesta dei No Tav, troppo spesso sfociata in guerriglia e violenti scontri, è solo l’ultima e più eclatante contestazione territoriali alla costruzione di opere di pubblica utilità e agli insediamenti industriali. Secondo uno studio curato dall’Osservatorio permanente Nimby forum (leggi l'articolo), l'Italia è un paese paralizzato dalle proteste, dai comitati locali, dalle associazioni e dai politici che, prontamente, cavalcano il malcontento per opportunismo. Tanto per dare un'idea della gravità del problema: nel Belpaese sono oltre 330 gli impianti contestati nel 2011, con un aumento del 3,4% rispetto al 2010. Nel 26,7% dei casi sono proprio i politici del luogo ad animare la protesta. Per evitare questo immobilismo, letale per l'economia locale e nazionale, il governo starebbe vagliando la possibilità di cambiare le regole per le Grandi opere ricalcando il modello francese.
Secondo un'indiscrezione pubblicata oggi dal Corriere della Sera, il presidente del Consiglio Mario Monti starebbe pensando seriamente di stare una sterzata. Se ne sarebbe già parlato durante l'ultimo Consiglio dei ministri, subito dopo che il ministro dell'Interno Anno Maria Cancellieri ha invitato ad accelerare i tempi. Le continue proteste contro l'alta velocità Torino-Lione sono sotto gli occhi di tutti. Una situazione che imbarazza l'Italia anche a livello europeo. Proprio per questo, il ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera avrebbe avanzato la possibilità di introdurre anche in Italia il cosiddetto Débat Public. Si tratta di una procedura in vigore in Francia dal 1995 alla cui base c'è la "democrazia partecipativa". Un concetto che avrebbe ridotto - dati alla mano - la conflittualità tra Stato ed enti locali dell'80%. Di cosa si tratta? "Al momento di avviare l'iter per la costruzione di un'opera pubblica - scrive Fiorenza Sarzanini sul Corsera - il promotore deve presentare uno studio di fattibilità che tenga conto di tutti i fattori relativi alla realizzazione visto che presentano forti sfide socioeconomiche oppure hanno un impatto significativo sull'ambiente e sull'assetto del territorio". Insomma, prima che si inizi coi lavori dovranno essere comunicati i tempi, il costo e le probabili conseguenze sull'economia locale. Per farlo i promotori della Grande opera avranno sei mesi.
In Francia il Débat Public funziona. Passera ne ha illustrato i contenuti che potrebbero essere modellati sulle esigenze dell'Italia. Resta il fatto che, come ha detto la titolare del Viminale, il governo deve agire con fermezza per arginare le schiere di violenti e i contestatori di profezioni la cui prepotenza rischia di immobilizzare l'intero Paese. In una intervista al Messaggero, il ministro dell'Ambiente Corrado Clini ha detto chiaramente che "il movimento No Tav ha perso la connotazione di movimento legato a un progetto ed è diventato il simbolo di una identità politica antagonista". Eppure rischia, ancora oggi, di ritardare seriamente la realizzazione dell'opera. In una intervista alla Stampa, il sindaco di Lione Gérard Collomb non ha infatti nascosto la propria inquietudine: "Crediamo che la Lione-Torino si farà, perché lo Stato italiano si è più volte impegnato a farla e naturalmente non dubitiamo che rispetti i patti. Ma siamo preoccupati per i tempi".
Il governo ha comunque ribadito che non promuoverà un referendum in Val di Susa sulla Tav. Intervistato da Maria Latella, su Sky Tg24 il sottosegratario alla presidenza del Consiglio, Antonio Catricalà, ha spiegato che dopo aver riesaminato il progetto dal punto di vista giuridico, sociale e ambientale, il governo non ha trovato alcun "punto oscuro".
"Abbiamo il dovere morale, politico e civico per non essere allontanati dall’Europa, da una credibilità che abbiamo riconquistato con estrema difficoltà", ha chiarito Catricalà senza comunque chiudere il confronto con le istituzioni.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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