Un problema politico, apparentemente accantonato, turba il sonno di molti dirigenti di partito: la successione a Giorgio Napolitano. Che dipenderà dall'esito delle elezioni prossime. La sinistra è (sempre meno) convinta di vincerle con le mani in tasca. Comunque, i progressisti non sono compatti e non sarà facile per loro accordarsi su un nome che ottenga l'unanimità. La maggioranza inoltre potrebbe essere tale, a spoglio avvenuto, soltanto con la cooptazione di Mario Monti. Il quale però non sarebbe garanzia di stabilità: che posizione assumerebbe, per esempio, Nichi Vendola? E Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini?
Questo per dire che, al momento di scegliere la persona da destinare al Quirinale, si scatenerebbe la guerriglia tra compagni vecchi e compagni di strada. Consapevoli di ciò, i democratici e affini si sono un po' ammorbiditi nei confronti del centrodestra: sperano di trovare un uomo (o una donna) in grado di calamitare voti di entrambi gli schieramenti. Chi? Si tratta sotto banco: discussioni informali, Tizio che sonda Caio che riferisce a Sempronio. Per adesso, la preoccupazione dei negoziatori è stare lontani da orecchi indiscreti: se i giornalisti vengono a sapere, addio, salta tutto.
Siamo alle solite: i nemici della Casta sono i cronisti che riportano i fatti pur nella certezza di essere poi smentiti. D'altronde, i politici sono così: non se la pigliano con la realtà, ma con lo specchio - noi - che la riflette. Nel caso in questione, come sempre, il riserbo è andato a farsi friggere: i candidati del Pd, tramontata l'ipotesi Mario Monti, il quale si è messo di traverso rispetto ai desideri di Pier Luigi Bersani (che lo voleva super partes, non comiziante), sono per ora quattro, due d'ufficio, Massimo D'Alema e Anna Finocchiaro, uno di riserva, Giuliano Amato, e un jolly, Romano Prodi. Chi la spunterà?
D'Alema era in lizza già sette anni orsono e sembrava potesse farcela. Teoricamente la sua coalizione aveva i numeri per imporlo. Ma, quando i giochi stavano per chiudersi, qualcosa non girò per il verso giusto: scattarono veti all'interno dei Ds (allora il partito si chiamava così) e D'Alema venne scartato benché l'opposizione non gli fosse ostile. Ora gli scenari sono mutati. E colui che fu il primo presidente del Consiglio rosso ha le carte in regola per rialzare il capino: s'è tolto dalla bagarre elettorale, non si presenta alle elezioni, è stato assai critico circa l'ingresso in politica del premier tecnico, gli piace dimostrare di essere distaccato da ogni bega di segreteria e, in occasione delle primarie, non ha esitato a fiancheggiare il più forte, Bersani, impegnato contro Matteo Renzi.
Insomma, egli si è creato un piedistallo di credibilità. Un personaggio adatto al Quirinale. Ma l'esperienza insegna che sul Colle non arriva quasi mai il favorito, manco fosse vittima di una maledizione. In questa circostanza, segnaliamo che qualcuno nel Pd desidera scegliere per l'ambita poltrona una donna. Chi è? Elementare: la Finocchiaro, persona stimabile a prescindere dalle visite (con scorta servizievole) all'Ikea.
Qui però è utile una riflessione: sia D'Alema sia la signora siciliana sono ex comunisti. Non importa? Importa importa. Qualora non importasse, avremmo un ex comunista a Palazzo Chigi, Bersani, e un ex comunista al Quirinale che subentra a un altro ex comunista, Napolitano. Troppo. No se puede no. Va bene che i comunisti non ci sono più (si vergognano addirittura di esserlo stati), ma gli anticomunisti ci sono ancora e non si vergognano affatto di esserlo. Quindi? Gli è tutto da rifare.
I compagni potrebbero orientarsi sulla riserva, Giuliano Amato, provetto poltronista capace di adeguarsi a qualsiasi cadrega, come si evince dal suo fantasmagorico curriculum: craxiano più craxiano di Bettino Craxi, mirabilmente schivò la grana delle tangenti; fu due volte premier con diverse maggioranze, e fermiamoci qui: ce n'è abbastanza. Ha un handicap: oggi è senza partito, cioè senza casa, e pare un terremotato. Gli manca la spinta di un clan: basta un colpo di vento e va giù.
Mai dire mai, obietterà qualcuno, e concordiamo. Però farebbe meno impressione Maurizio Crozza fra i corazzieri che non il dottor Sottile, talmente sottile da rischiare l'evanescenza. Fra l'altro, la logica spartitoria, mai sepolta, non contempla un laico quale contrappeso a un ex comunista. Ovvio. Serve un cattolico, preferibilmente baciapile autentico nella mente e, perché no?, nel corpo. Ecco: questo è l'identikit di Prodi che, il lettore rammenterà, sedeva a Palazzo Chigi quando Napolitano fu eletto capo dello Stato.
Lui, il Professore, ci tiene da matti: sarebbe per la prima volta titolare - se Dio volesse - di un incarico tanto lungo, sette anni, senza rischiare di doverlo abbandonare in anticipo come, invece, gli accadde in passato. C'è di più. Alcuni nostri informatori fidati giurano che per portarlo lassù, nel ruolo di custode della Costituzione, si stanno mobilitando varie eminenze grigie, e anche di colori più vivaci. Si parla addirittura di un'intesa di massima tra ambasciatori della sinistra e della destra. Un segreto? Sì, ma i segreti in Italia sono tutti di Pulcinella, e noi lo spifferiamo.
Una sola incognita: il risultato delle consultazioni politiche.
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