La vicenda Sallusti prosegue peggio di come era cominciata. (...) La magistratura indubbiamente ci ha messo del suo, innescando con la sentenza un'agguerrita campagna nel mondo dell'informazione che paventava una legge-bavaglio (...) Partiamo dalla condanna, che ci doveva essere, sia chiaro. Ho fatto il giudice penale per più di trent'anni e, tra le molte diffamazioni che mi sono passate dinanzi, anche velenose e «studiate», non mi riesce di ricordare una condanna ad una pena detentiva superiore al minimo, senza attenuanti e senza sospensione della pena. (...) Sarebbe stato forse meglio scrivere non che Sallusti è un pericolo pubblico ma che va punito duramente perché ha fatto scrivere propri articoli di critica alla magistratura: meno «tecnico», ma forse meno ipocrita.
Del resto la sentenza Sallusti ha più di una singolarità. Passata da una pena pecuniaria di 5.000 euro in primo grado per un errore del Gup, una specie di lapsus di cui il giudice si è reso conto solo in un secondo tempo scrivendo la motivazione, ad una pena detentiva molto alta è sembrata rappresentare qualcosa di più del risarcimento all'onore di un singolo giudice, tra l'altro non nominato in un corsivo che probabilmente non si è stampato nella memoria di nessuno. Assomiglia piuttosto ad una risposta «esemplare» dell'ordine giudiziario nel suo complesso, tante volte attaccato proprio dal non «rieducabile» direttore.
(...) Dal canto suo anche la campagna del mondo della stampa contro le varie proposte di legge ha contribuito non poco, e spesso in malafede, a confondere le acque. Soprattutto non è vero quello che si è letto in molti messaggi che venivano da quel mondo e cioè che la diffamazione sia un «reato di opinione». Quanto meno da due secoli per «reato di opinione» (si intende, ndr) (...) una offesa a mezzo di una falsa opinione: una specie di rapina dell'onore. (...)
In queste speculari distorsioni della realtà, il mondo della politica aveva la possibilità (...) per fare una buona riforma (...) della legge sulla stampa che risale al 1948. Un'impresa non difficile, franata in una discussione inconcludente, in imboscate reciproche.
(...) Calato il sipario in Parlamento, la magistratura è ricorsa a una toppa peggiore del buco dando l'impressione di non avere la coerenza di eseguire la sentenza che ella stessa aveva sollecitato o adottato e provocando anche contrasti al proprio interno, all'interno della Procura di Milano che ha vissuto un inedito scontro tra il Procuratore e molti suoi sostituti. È abbastanza superfluo chiedersi se il decreto svuota-carceri potesse applicarsi al caso Sallusti o no. (...). Per quanto Sallusti sia un Dreyfus antipatico a molti, compresa, buona parte dei suoi colleghi che lo lasciano abbastanza spesso trasparire, è poi evidente che sul piano morale egli ha il diritto a che la sentenza sia eseguita nei termini in cui è stato irrogata e a non «subire» misure addolcite: studiare soluzioni «in favore» di una persona che non le ha chieste e che ha fatto sin dal principio della sua condanna una questione di principio suona come una forma di violenza.
È poi abbastanza curioso che la scelta «creativa» della detenzione domiciliare sia in realtà priva di efficacia preventiva e cioè, nella logica della sentenza, non tuteli la collettività dai «pericoli» che l'hanno imposta.
Infatti da casa sua Sallusti può continuare a scrivere o a dirigere i suoi giornalisti, cioè reiterare quei comportamenti che l'hanno collocato come «socialmente pericoloso».
Intanto Sallusti, grazie alla sentenza di un giudice lungimirante, ha evitato un'altra condanna ad oltre 6 mesi di reclusione, sollecitata da una Procura tornata alla mano dura per un'evasione dalla detenzione domiciliare altrettanto simbolica quanto la fumata di spinelli dei Radicali di fronte al Parlamento.
Ma l'affaire continua. Per uscire dall'impasse (...) si parla in questi giorni di un provvedimento di grazia (...) dal punto di vista concreto e personale porrebbe fine all'imbarazzo. Ma, sul piano politico e giudiziario (sarebbe, ndr) (...
*Gip a Cremona
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