Pezzi di riarmo elettorale

Per ora gli unici soldi pubblici buttati al vento sono quelli che le amministrazioni pubbliche di sinistra hanno speso e più o meno insieme a Cinque Stelle intendono spendere nelle prossime settimane per pagare le manifestazioni di piazza

Pezzi di riarmo elettorale
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Scommettere che il riarmo sia un tema che possa spostare in modo significativo le intenzioni di voto degli elettori è un po' come giocare la schedina del Superenalotto, costa poco ma le probabilità di vincita sono infinitesimali. Se ne discute da settimane tra e dentro le coalizioni di centrodestra e del centrosinistra ma il barometro del consenso segna tempo sostanzialmente stabile, gli spostamenti in su o in giù dei singoli partiti sono nell'ordine dello zero virgola come sempre accade. E lo stesso vale per la rissa in corso sull'Europa amica per alcuni e nemica per altri: puro effetto placebo. Se e quando verrà presa una decisione definitiva, ognuno, non tanto sul riarmo, bensì sulle conseguenze economiche pratiche, trarrà le proprie conclusioni ma quel giorno non è oggi né domani e comunque il buon senso fa escludere che l'eventuale conto sarà pagato con una diminuzione del welfare. Per ora gli unici soldi pubblici buttati al vento - e sottratti ai bisogni delle fasce più bisognose - sono quelli che le amministrazioni pubbliche di sinistra hanno speso e più o meno insieme a Cinque Stelle intendono spendere nelle prossime settimane per pagare le manifestazioni di piazza contro non si capisce bene che cosa: la guerra di Putin?; la pace di Trump?; l'Europa che non fa nulla?; l'Europa che vuole fare qualcosa? Qualcuno confonde la visibilità mediatica data dal fare casino sempre e comunque con il consenso elettorale. Se così fosse Matteo Renzi dovrebbe essere attorno al venti per cento ma nella realtà non si schioda dal due; se così fosse i Cinque Stelle non avrebbero dimezzato i loro voti elezione dopo elezione. Paga la coerenza e, anche se sembra paradossale, i partiti del centrodestra lo sono anche nella inedita litigiosità, a tratti aspra, di questi giorni: Meloni e Tajani hanno scelto l'estate scorsa di stare nel nuovo governo europeo e provare a incidere da dentro; Salvini si è messo da subito all'opposizione senza se e senza ma della Von der Leyen.

I primi due trattano e mediano, il terzo va a testa bassa contro tutto e tutti. Non c'è alcuna novità, non fino a che il dissidio dovesse entrare nel Consiglio dei ministri. Cosa che nonostante il trambusto e le sportellate propagandistiche di queste ore appare molto ma molto improbabile.

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