Premierato col televoto

Sanremo, si sa, non è né lo specchio né la fotografia del Paese. Semmai è un raffinato laboratorio per le grandi riforme costituzionali

Premierato col televoto
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Sanremo, si sa, non è né lo specchio né la fotografia del Paese. Semmai è un raffinato laboratorio per le grandi riforme costituzionali. È nella settimana decisiva dell'Ariston che si valuta se siamo pronti allo ius soli (dibattito sul cantante italiano ma etnicamente sospetto), si testa il federalismo (Napoli può avere un'autonomia linguistica?), si sonda la linea in politica estera (il lodo Ghali) E soprattutto si sperimenta il premierato. In questo senso, visti i risultati di Sanremo 20-24, si può affermare con ragionevole certezza che l'elezione diretta

in Italia non funziona, si tratti del vincitore di un festival o del presidente del Consiglio. Come in una gara la cerchia ristretta dei critici musicali (buoni ma pochi) e quella delle radio (legate ai poteri forti delle case discografiche) hanno maggiore potere rispetto al pubblico del televoto, così in politica le élite e i giochi di Palazzo finiscono col correggere le scelte degli elettori alle urne.

È una vecchia storia. In Italia c'è sempre una casta o un governo dei tecnici che si assume il compito di proteggere il popolo da se stesso.

Forse, però, il Cantante d'Italia eletto col sistema maggioritario a doppio turno funzionerebbe...

Chissà.

La verità è che noi italiani abituati al voto di scambio e alle sim taroccate - la sovranità popolare ce la dobbiamo ancora meritare. La democrazia ha un costo. E 51 centesimi per un televoto, purtroppo, non bastano.

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