«Nessun dato di fatto, nessuna prova storica». Difficile trovare, nella lunga e accidentata storia delle inchieste giudiziarie a carico di Silvio Berlusconi, una bocciatura così solenne delle tesi delle Procure. Il Cavaliere, come si sa, è sempre uscito incolume dai processi a suo carico. Ma - in virtù se non altro del sacro principio della colleganza - i giudici non infierivano mai sui pubblici ministeri. Invece i magistrati chiamati a giudicare Berlusconi (quando era ancora presidente del Consiglio) per la corruzione dell’avvocato Mills, maltrattano senza riguardi il pm Fabio De Pasquale, che per il Cavaliere aveva chiesto cinque anni di carcere. Se non fosse intervenuta la prescrizione, scrivono senza semitoni i giudici del tribunale di Milano, Berlusconi sarebbe stato assolto. Perché, piaccia o non piaccia, le regole del processo valgono per tutti, «anche quando siano scomode». E nessuna prova degna di questo nome è stata portata in aula che indicasse l’ex premier come il mittente dei 600mila dollari arrivati a Mills, testimone reticente nei processi degli anni Novanta a Berlusconi e alla Fininvest.
Il 25 febbraio scorso, quando il tribunale presieduto da Francesca Vitale dichiarò il proscioglimento di Berlusconi per «estinzione del reato», il coro fu quasi unanime: ecco, l’ennesima prescrizione, Berluska l’ha fatta franca con il Lodo Alfano e la Cirielli. Ma l’altro ieri il giudice Vitale deposita - con ampio anticipo sui termini - le motivazioni che ribaltano tutto. Sono 77 pagine che arrivano in diretta sulla prima pagina del Corriere, e che contengono anche giudizi severi sul ruolo svolto in questa lunga storia da altri giudici milanesi, accusati dalla Vitale di essere i veri responsabili della prescrizione. Ma in quelle pagine c’è una novità ben più rilevante. Ed è la bocciatura senza mezzi termini delle tesi della Procura.
Unica concessione: non esiste neanche la prova contraria, quella certezza solare dell’innocenza di Berlusconi che avrebbe costretto il tribunale a emettere un’altra sentenza, sorvolando sulla prescrizione e assolvendo l’imputato con formula piena. Sulla posizione di Berlusconi resta l’ombra delle dichiarazioni dello stesso Mills, che prima sostenne di avere ricevuto i soldi da lui e poi si rimangiò tutto, offrendo «spiegazioni assai poco convincenti» della sua retromarcia. Ma più in là di questo, dice il tribunale, non si può andare. E il fatto che la Cassazione abbia ritenuto provata la colpevolezza di Mills - che però se la cavò, lui sì, solo grazie alla prescrizione - non vuol dire affatto che sia colpevole anche Berlusconi.
Davanti alla nettezza di questo giudizio, ieri parte immediatamente la caccia al retroscena. Perché le motivazioni depositate in cancelleria portano la firma solo del presidente Vitale, e non anche dei giudici a latere Francesca Lai e Antonella Interlandi? Significa che solo la Vitale è convinta della mancanza di prove? Dietro, ovviamente, c’è un non detto: la Vitale non è quel che si dice una «toga rossa», e fin dall’inizio del processo è accusata di non avere sposato con sufficiente determinazione le tesi della Procura. Che sulla sentenza ci sia solo una firma, dimostra che è lei la cattiva, la garantista all’eccesso. Ma non c’è giallo, in realtà. La Vitale firma da sola perché era la presidente, e la sua firma è sufficiente: ma il testo, scelte lessicali a parte, non è farina solo del suo sacco. Almeno un altro giudice, nel segreto della camera di consiglio, ha condiviso le stesse opinioni.
Così, non resta che prendere atto serenamente di quello che è accaduto, e che prima o poi era inevitabile che accadesse. La sentenza dice che Berlusconi non poteva essere condannato, e arriva a dirlo smontando uno per uno i pezzi dell’accusa. È vero, dice, che Mills quando venne interrogato nei vecchi processi un po’ disse e un po’ non disse, evitando di raccontare chiaramente che i conti off-shore erano di Berlusconi: ma «non vi è certamente spazio per affermare che le testimonianze di Mills vennero pilotate o influenzate», «è evidente che quanto dallo stesso dichiarato nei processi Arces e All Iberian è stato frutto di una propria ed autonoma determinazione».
E le colossali perizie che sia l’accusa che la difesa hanno portato in aula per ricostruire il percorso dei soldi che costituirebbero la contropartita di quei silenzi non hanno in realtà chiarito un bel nulla: «nessuna verità, neppure processuale, può dirsi a questo punto raggiunta». «Spiace dirlo: ma la montagna ha partorito il topolino».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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