Quella ricostruzione infinita che lascia L'Aquila in macerie

A 5 anni dal terremoto in centro storico lavori in ritardo e negozi chiusi. Ma la giunta rossa travolta dagli scandali chiede al governo un miliardo l'anno

Quel che resta della Casa dello studente a L'Aquila a 5 anni dal sisma
Quel che resta della Casa dello studente a L'Aquila a 5 anni dal sisma

nostro inviato a L'Aquila

La vita a L'Aquila si è cristallizzata negli squarci sui muri, nelle voragini in strada, nelle macerie accumulate lungo i portici dove c'erano una volta le passeggiate del sabato pomeriggio. Alle 3.32 del 6 aprile 2009 qualcuno a otto chilometri di profondità, da qualche parte sotto la Casa dello studente, ha acceso un mostruoso frullatore. Pochi secondi e i morti erano 309, i feriti 1.500, 65mila gli sfollati in tutta la regione. Dopo cinque anni di amministrazione rossa e quattro governi nazionali diversi a L'Aquila si scattano diapositive che sono fotocopie a colori. La ferita è diventata cicatrice.

Una parte (che tiene in mano le sorti della ricostruzione) ha accusato l'altra di ogni nefandezza. La sinistra e le Guzzanti con l'elmetto hanno dipinto Berlusconi-Letta-Bertolaso come il vertice di sprechi e malaffare, facendo dell'emergenza una partita politica da giocare ai piani alti dei palazzi romani. Salvo poi sbattere davanti alla realtà trasversale degli arresti e degli indagati - a gennaio scorso - una catena di tangenti e corruzione arrivata sino ai più stretti collaboratori del sindaco Pd Massimo Cialente, uno col vizio delle dimissioni che fanno scena, e poi puntualmente ritirate. Per il Comune sono 210 i cantieri attivi, ma nel 2013 appena 57 sono stati gli «interventi» conclusi sui 1.145 avviati. Chi è rimasto all'Aquila racconta che i lavori sono avanzati solamente in alcune periferie e nelle campagne, dove spesso si è costruito in una giungla di colori e stili che ha violato ulteriormente il territorio. Nelle viuzze del centro storico siamo per lo più alla messa in sicurezza: travi, tubi e nastri soffocano gli edifici come camicie di forza. Al mattino presto e con il buio lo scenario è spettrale. Qui l'emergenza non è mai finita: in centro prima della catastrofe vivevano circa 20mila aquilani, un popolo di 1.500 partite Iva di cui due terzi commercianti. Oggi a combattere nel deserto sono un centinaio di «eroi», una trentina di insegne in tutto. Prendete Natalia Nurzia, titolare dell'azienda di famiglia che non ha praticamente mai smesso di produrre il suo famoso torrone, proprio in quella piazza del Duomo icona del disastro per le tv di tutto il mondo. Punto di riferimento per chi va avanti «pensando al quotidiano», senza l'aiuto dei politici, anzi lottando per strappare permessi e svincolarsi dalla burocrazia.

Dalle piccole imprese alle grandi il privato supera il pubblico. Dompé presso il polo dell'Aquila concentra le proprie attività di produzione e di ricerca biofarmaceutica dal 1993, con circa 250 dipendenti. In città è uno dei simboli dell'industria che è ripartita, sin da subito. Quella notte del 2009 subì danni per 15 milioni di euro, ma in meno di un mese è stato riavviato oltre il 70% della linea di produzione. A sei mesi dal sisma, il sito è tornato a pieno regime. Parallelamente, sono state messe in atto iniziative di sostegno ai lavoratori, come prestiti senza interessi fino a 10mila euro rimborsabili in 48 mesi.

Casa e lavoro, bisogni primari. Su 70mila residenti, nelle 19 new town fatte costruire a tempo di record dal governo Berlusconi oggi hanno un alloggio dignitoso 11.700 persone (progetto Case), mentre 2.500 vivono ancora nei Moduli abitativi provvisori, per tutti «le casette di legno», che non potranno durare per molti altri inverni. Ora il problema è creare nuovi centri di aggregazione al di là dei centri commerciali che stanno spuntando ai margini della città. Come manca un controllo sistematico della salute. Uno studio dell'università Gabriele D'Annunzio ha dimostrato che il 50% di un campione di 218 aquilani ha sindrome metabolica, il doppio rispetto alla media e anche l'Iss ha denunciato un aumento di sintomi depressivi, con abuso di psicofarmaci.

Intanto la giunta Cialente conduce una guerra dialettica con la procura che indaga sugli orrori del «business» terremoto. L'ultimo check ufficiale della spesa per la ricostruzione recita 1,6 miliardi da reperire nel 2014, e sposta al 2016, inizi 2017, l'obiettivo del recupero del solo «asse centrale» della città. Forse nel 2018, chissà, il resto. Coincidenze.

Lo stesso orizzonte temporale del governo Renzi, a cui l'amministrazione di centrosinistra chiede un miliardo di euro l'anno. Per il rottamatore una grana mascherata da invito «a venire presto a farsi un giro da queste parti».

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