Retromarcia di Ingroia: "Non ho prove del legame tra Forza Italia e mafia"

Dopo la causa intentata da 8.500 lettori del Giornale i legali precisano: "Quelle dell'ex pm sono solo opinioni"

Retromarcia di Ingroia: "Non ho prove del legame tra Forza Italia e mafia"

Una mezza retromarcia. E pure di più: ora le certezze di Antonio Ingroia sui rapporti fra la nascente Forza Italia e Cosa nostra diventano opinioni, convinzioni, punti di vista. In poche parole teoremi, anche se spacciati in libri, articoli e dibattiti come oro colato o quasi. Peccato che non sia così. Le prove non ci sono, c'è solo la demonizzazione gratuita o quasi di un segmento della storia italiana. L'ex pm retrocede. Fra imbarazzi, correzioni, impuntature. Ricorrendo pure al vecchio gioco dello scaricabarile. Giusto per smarcarsi dalle contestazioni degli 8.500 lettori del Giornale che gli hanno fatto causa per difendere l'onore di un pezzo di storia politica italiana.

Il tema della contesa è quello del presunto peccato originale di Forza Italia, descritto dall'ex magistrato in un'intervista al Fatto quotidiano: il patto scellerato fra Marcello Dell'Utri e Bernardo Provenzano che marchierebbe in modo indelebile la storia di Forza Italia. In quel pezzo, in realtà l'anticipazione di un frammento del libro Antonio Ingroia Io so, l'ex magistrato, poi entrato con molte ambizioni e con un fiasco ancora più grande in politica, parlava appunto del presunto legame fra un pezzo della classe dirigente azzurra e i vertici di Cosa nostra e affermava: «La nostra ipotesi è che Berlusconi, nel suo ruolo di presidente del Consiglio, nel '94 accetta la proposta che gli fa Dell'Utri per chiudere la trattativa, accetta cioè le richieste del boss Bernardo Provenzano».

Affermazioni gravissime, ma che Ingroia amplifica subito dopo pronunciando parole ancora più dirompenti: «Il riscontro di questo accordo è contenuto nella legislazione nazionale che da questo momento appare coerentemente orientata a favorire costantemente gli interessi mafiosi». Insomma, quella di Forza Italia sarebbe una storia criminale. Di qui lo sconcerto e l'indignazione di migliaia e migliaia di lettori del Giornale che hanno inondato la redazione di lettere.

È nata così la causa che obbliga in qualche modo a rileggere un segmento della storia politica italiana. È vero o no quello che l'ex pm di punta della procura di Palermo fa intendere in quel volume? A quanto pare no, perché lo stesso Ingroia sembra preoccupato di alleggerire la propria posizione. E i suoi legali, Alberto Bassioni e Gianmarco Cesari, autori della memoria presentata al tribunale di Roma, gli fanno fare di corsa più di un passo indietro. E così l'ex procuratore aggiunto di Palermo si sposta in una trincea molto più soft. Nella nouvelle vague dell'antiberlusconismo militante. Tanto per cominciare non sarebbe stato lui ma il Fatto quotidiano a sostenere che «sullo sfondo della copertura politica offerta a mafiosi c'è il sospetto di un rapporto storico fra Berlusconi e Cosa nostra». Sì, i lettori questo capiscono, ma la paternità della frase dipende «da una scelta espositiva degli intervistatori». Insomma, gli hanno fatto dire quello che forse voleva far capire ma non voleva affermare così esplicitamente. Siamo, come si vede, su un filo sottile sottile che rischia di spezzarsi e ingarbugliarsi ogni momento.

Ingroia si lancia allora in uno slalom per superare contraddizioni e obiezioni. «La convinzione del dottor Ingroia - ci fanno sapere gli avvocati - non viene meno per il solo fatto che sia stata smentita dalla sentenza di secondo grado». Dunque, per l'ex magistrato il patto c'è stato, anche se la sentenza d'appello del processo Dell'Utri afferma il contrario. Pazienza per la sentenza, Ingroia la rispetta però continua a pensarla come prima. Ma anche no. Perché nel tentativo di far quadrare quel che quadrare non può, il leader di Rivoluzione civile si produce in un'altra capriola: «Egli non dice che la legislazione nazionale è orientata a favorire gli interessi mafiosi, bensì che appare orientata». Dunque, il pm, il pm del processo Dell'Utri e di tante altre indagini, parlava come opinionista. Senza preoccuparsi di portare le prove. Esprimeva una «sua pura convinzione» anche se l'avvolgeva con l'autorevolezza e quasi la sacralità della toga.

L'allora pm ha scandagliato la famosa zona grigia al confine fra il Palazzo e Cosa Nostra, ha interrogato centinaia di testi e studiato carte, documenti, conti bancari.

La sua requisitoria infinita, iniziata in aula e proseguita fra convegni e talk show, poggiava però su gambe esili. Molto esili. Così sono gli stessi avvocati a derubricarla alla voce opinione. Il peccato originale di Forza Italia non c'è. Sopravvive solo come un pregiudizio. Altrove, forse, la chiamerebbero calunnia.

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