Lei è gravemente malato, rischia di morire, deve lasciare il carcere. Anzi, no, lei sarà anche in condizioni di salute precarie ma siccome le è arrivata un'altra ordinanza d'arresto, ci dispiace: resta dentro. L'aberrazione della carcerazione preventiva dà il peggio di sé a Taranto, città dei veleni dell'Ilva. Nella locale casa circondariale dal 26 novembre 2012 è rinchiuso il 68enne Girolamo Archinà, ex addetto alle relazioni esterne del colosso siderurgico, considerato dalla procura una specie di dominus degli affari illeciti fra l'azienda dell'acciaio e tutto ciò che la circonda. Le accuse (smontate dalla difesa) hanno resistito al vaglio del gip e del Riesame, e son passate sopra anche alle devastanti condizioni di salute di quest'uomo che ha ripetutamente collassato in cella per l'occlusione integrale di un'arteria carotidea e la semiocclusione della seconda. Quando finalmente il Riesame ha preso atto che dagli esami clinici era alta la possibilità di veder crepare l'indagato, ha disposto l'immediata «liberazione» per incompatibilità col regime carcerario, convertendo la detenzione dietro le sbarre in arresti domiciliari. Questo avveniva dopo una serie di altri solleciti respinti fra sottili distinguo giuridici e burocratici bizantinismi medici. E soprattutto ciò accadeva con la contestuale notifica ad Archinà di una seconda ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dallo stesso gip Todisco che l'aveva schiaffato dentro sei mesi prima, negandogli ripetutamente quella scarcerazione, anche per motivi di salute, come sollecitato dagli avvocati Gianluca Proietti e Giandomenico Caiazza.
Il nuovo provvedimento restrittivo che di fatto ha rimandato l'uscita del carcere di una persona che in carcere non può restarvi un minuto di più, solleva un interrogativo banale: se Archinà era incompatibile con il carcere prima, come fa ad esserlo adesso? Per veder fuori di prigione l'ex manager occorrerà, dunque, aspettare il nuovo interrogatorio e una nuova pronuncia da parte dello stesso gip che ha respinto ogni istanza e che la difesa ha «segnalato» al Csm, al ministero di Giustizia e al presidente del Tribunale, per la «sorprendente sommarietà» con la quale ha trattato le gravissime condizioni di salute di Archinà, «minimizzando la patologia». Negando l'ingresso in cella a un neurologo di parte (già richiesto dai medici del carcere), che dopo due collassi e sulla sola documentazione clinica a disposizione dei familiari ha comunque certificato l'incompatibilità dell'indagato con la vita in cella. Negando più volte al povero Archinà la possibilità di far aggiustare gli occhiali rotti («ben otto istanze di sollecito per la richiesta autorizzazione sono state presentate», invano).
Insomma, non è stato facile per lo speaker dell'Ilva, e per i suoi legali, convincere gli scettici in toga che la situazione era seria per davvero. Il gip alla fine aveva chiesto a un suo perito di verificare come stavano realmente le cose, e la conclusione fu che le condizioni di Archinà erano critiche ma «allo stato attuale» potevano anche essere compatibili con la galera a patto che venissero svolti accertamenti e controlli quotidiani accurati nel penitenziario. Accertamenti e controlli che non si sono praticamente mai verificati, stando a quanto riportato nella cartella clinica di Archinà acquisita successivamente dal Riesame al quale si erano appellati gli avvocati dopo l'ennesimo rigetto del gip che si era limitato a girare all'infermeria le raccomandazioni del consulente. Per farla breve, da gennaio Archinà si è sentito male ripetutamente, e si è aggravato perché non è stato monitorato a dovere in una struttura priva di personale e macchinari (la risonanza magnetica al cervello è prenotata per gennaio 2014). Siamo a oggi.
Archinà dovrebbe essere a casa e invece si ritrova ancora in cella. Gli avvocati hanno presentato l'ennesima istanza chiedendo l'applicazione della decisione del Riesame. Se uno sta male, sta male. Non è che se cambia il capo d'imputazione guarisce.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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