Santanché, la politica sbaglia più dei Pm

La condanna "etica": il dibattito sul rinvio a giudizio del ministro Santanchè si è diviso tra prevedibili richieste di dimissioni e silenzio assordante

Santanché, la politica sbaglia più dei Pm
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C'è un uso politico della giustizia, ma ci sono anche una politica e un giornalismo militante che della giustizia si servono per giustificare pregiudizi estranei alla sfera del diritto. E questa sarà la riforma più difficile da fare. Si possono separare le carriere, si possono scrivere leggi migliori, ma la voglia giacobina di utilizzare un passaggio giuridico, ancorché preliminare e irrilevante per lo stesso ordinamento codificato, ai fini di un'anticipata condanna morale è comportamento iscritto nel dna di gran parte del Paese.

Emblematico in queste ore è il comportamento della politica, con le dovute eccezioni, quasi unicamente provenienti da Forza Italia e Lega. Per il resto il dibattito sul rinvio a giudizio del ministro Santanchè si è diviso tra prevedibili richieste di dimissioni e silenzio assordante. Il tutto condito con fogliettoni, editoriali, ricostruzioni, commenti, dove speciosamente elementi moralistici sono stati inseriti a riprova di comportamenti colpevoli, anche se tali non sono ancora per il tribunale.

E allora il tacco dodici diventa indizio, il bikini leopardato il secondo indizio, i Rayban a specchio prova certa, le amicizie sinonimo di associazione a delinquere. Insomma, a che servono tre gradi di processo? Tanta ostentazione, un simile stile di vita, la abituale frequentazione di luoghi moralmente malfamati come i ristoranti di Cortina e le spiagge del Twiga, non possono che essere sinonimo di colpevolezza.

La cosa grave è che a trasmettere chiaro questo pensiero sia quella che dovrebbe essere l'opinione pubblica più qualificata del Paese: quei giornali blasonati che dovrebbero avere la divisione tra fatti e pregiudizi come stella polare, ma peggio ancora quella politica che dovrebbe essere custode delle sue prerogative e schierata a difesa delle sue scelte.

Perché Daniela Santanchè, non mi fa velo l'amicizia che ho per lei, è quella persona e non lo ha mai nascosto. Il governo di Giorgia Meloni l'ha scelta come ministro della Repubblica. Quando ha giurato, aveva gli stessi tacchi, le stesse abitudini, la stessa sfrontatezza di rivendicare chi era, la sua storia, le sue idee, i suoi gusti.

Oggi, giuridicamente, tecnicamente, politicamente, moralmente la pronuncia dei giudici milanesi non cambia di una virgola la situazione di due anni fa. E dunque perché tanto imbarazzo e tanta reticenza? Perché tanta timidezza nel difendere una scelta fatta allora? Questa volta non è colpa della giustizia. Io non conosco le carte dei processi, non ho idea dei fatti. Non so se alla fine Daniela Santanche sarà riconosciuta colpevole o innocente come le auguro dopo un diluvio di indagini, queste sì, forse, meritevoli di miglior causa.

Oggi però non è questo il film che stiamo vedendo. Oggi vediamo una certa politica e soloni del giornalismo usare una pronuncia preliminare della giustizia come sentenza etica, come fosse un appello contro la scelta della politica di farle ricoprire quel ruolo. E peggio, vediamo la politica che quella scelta ha fatto tentennare nella difesa di quella scelta. Io non voglio dire se sia stata la scelta giusta, perché sarei di parte, o se sia stata la scelta sbagliata. Credo che semplicemente la politica oggi non possa valutare quella scelta sulla base di un pronunciamento irrilevante per il diritto seguendo il moralismo di certa opinione pubblica. Perché una simile politica perderebbe ogni diritto di pretendere autonomia da una giustizia che addirittura vorrebbe riformare.

Perché la prima riforma, assai più importante di quella dei codici scritti, è quella che la politica dovrebbe compiere su se stessa, cancellando il riflesso condizionato ad inseguire l'invidia sociale, specie quando questa diventa parte di un dibattito giudiziario.

Sarebbe inutile separare le carriere dei magistrati e

tenere la politica unita ai suoi peggiori vizi e alla codardia che l'ha accompagnata in questi anni. E già molte linee del Piave, processo dopo processo, sono state abbandonate senza neppure il coraggio di provare una difesa.

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