Scalfari, da oracolo a nemico dei giustizialisti

È guerra tra i giornali-partito: Il Fatto massacra il fondatore di Repubblica che difende Napolitano dai pm

Scalfari, da oracolo a nemico dei giustizialisti

Roma - Esulta Il Fatto, perché il nuovo Arcinemico Eugenio Scalfari, reo di aver difeso Napolitano e «attaccato i pm», ora sarebbe «scaricato da tutti». Un appestato, praticamente.

Per la sontuosa occasione fornita da questo scontro fratricida tra giornali-partito della sinistra (o presunta tale, in molti casi), Marco Travaglio si dilata e scolpisce la propria firma ai piedi di un'articolessa di proporzioni scalfariane: una colonna in prima, sei a pagina 4 e - per chi riesce ad arrivare alla fine - altre tre colonne a pagina 5. Tutte dettagliatamente impiegate per smontare, con minuzia da verbale di questura, le tesi del Fondatore. Il contorno non è da meno, basta un rapido florilegio di titoli per darne conto: «Repubblica smentita da Colle e Procura»; «Il Fondatore sconcerta i lettori»; «Mio fratello Giovanni non coprì i politici» (immancabile intervista alla sorella di Falcone); «Tutti i successi della procura contro la mafia» (immancabile intervento apologetico di Gian Carlo Caselli); «Passera invoca il bavaglio al più presto»; «Scalfari, quante bugie»; «Ipocrita, talebano e altri insulti: attacchi personali a Zagrebelski, ha osato criticare il presidente», e giù un elenco delle firme di pericolosi sovversivi che hanno osato criticare l'ex presidente della Consulta, da Giuliano Ferrara a Francesco Damato a Luciano Violante a Emanuele Macaluso. Dimenticando l' «insulto» più memorabile e definitivo, quello con cui Cossiga, nel '91, aveva fulminato con tocco dostoievskiano il pensoso giurista sabaudo, fin d'allora impegnato a demolire presidenti della Repubblica: «Quel principe ucraino».
Dal canto suo, Repubblica si tiene sul sobrio, mascherando le ferite dello scontro interno: la vicenda Colle-pm finisce a pagina 12, in una cronaca che dà conto del «duello tra procura di Palermo e Quirinale sui nastri da distruggere e sull'iter che portò al conflitto» e con un retroscena del quirinalista Umberto Rosso che evoca la famosa «lettera dell'Avvocatura per evitare di andare alla Consulta», dando sostanzialmente ragione a Napolitano (e al Fondatore).
Poi ci sono i giornali del Pd: e qui Europa, ala lib e lunga coerenza garantista, punzecchia nell'editoriale del direttore Stefano Menichini i dirimpettai dell'Unità, ala lab e garantismo a corrente alternata, che per troppo tempo sono apparsi «esitanti nel comprensibile timore di dover mettere in discussione una tradizionale solidarietà con i magistrati». Oggi Menichini dà loro il benvenuto (dopo due mesi, sottolinea) nel fronte di chi denuncia che, dietro la montante campagna contro Napolitano, c'è una «operazione politica ad ampio spettro», alimentata dai «veleni fuoriusciti dall'indagine palermitana».
Quanto all'Unità, il giornale diretto da Claudio Sardo intervista il costituzionalista Valerio Onida: «Napolitano ha fatto benissimo, non lo dico io ma la Costituzione». E poi c'è un brillante elzeviro di Francesco Cundari, firma di punta del giornale, sul «tradimento dei liberali», nel quale si denuncia il dilagare (anche sui giornali della «borghesia liberale», Corriere in testa) dell' «uso intimidatorio, ricattatorio o semplicemente denigratorio dei verbali di intercettazione», ormai divenuti «uno degli strumenti più utilizzati nella lotta per il potere». Peccato che poi, in prima pagina, il titolo più evidente smentisca nei fatti le molte parole del nuovo corso garantista del centrosinistra: «Intercettazioni, il Pd: ora non si cambia. Irrealistica una riforma a fine legislatura» (a inizio legislatura, peraltro, al Pd sembrava altrettanto irrealistica).

La paura di quel coacervo di «dipietristi, civici, operaisti e corteggiatori di Grillo» che si stanno assemblando per dare la caccia ai voti del Pd (come denuncia un retroscena sempre sull'Unità) nel nome del «populismo giudiziario» (Violante dixit), spinge alla fine il Pd a bloccare, con l'alibi del solito Berlusconi, ogni tentativo di riforme sgradite ai pm militanti, e ai loro aedi.

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