Se ora la Chiesa chiude un occhio su chi bestemmia

Un allenatore è stato squalificato per l'ingiuria. Ma i religiosi non sono così rigidi: grave solo se c'è "consenso deliberato"

Se ora la Chiesa chiude un occhio su chi bestemmia

Lecce - Il mister impreca e si becca un turno di squalifica, ma il prete lo difende: «Tecnicamente, la sua non era una bestemmia».
Che la sua scelta di mettere in campo santi e arcangeli potesse farlo diventare un caso da diritto canonico Franco Lerda non lo avrebbe mai immaginato. Quelle irripetibili parole sugli inquilini del Paradiso l'allenatore del Lecce le aveva pronunciate in preda al furore agonistico, durante la semifinale dei play off di Lega Pro. L'arbitro, orecchio fino, le aveva annotate nel referto. La giustizia sportiva ha fatto il resto. Fermando per un turno il trainer salentino. Normale amministrazione nel mondo del calcio da quando – nel 2010 – Coni e Fgci hanno inserito la bestemmia tra i casi di condotta violenta. Per nessuno degli squalificati, però, s'era mai spesa la Chiesa: chiamata ad esprimersi sulla punizione inflitta a Lerda, la Corte federale (una sorta di corte d'appello del pallone) ha dovuto far di conto con l'invito di don Attilio Mesagne, direttore della Caritas leccese. «Togliete la giornata di squalifica a Lerda», ha mandato a dire il sacerdote, «perché non ha commesso peccato».

Subito il dibattito ha preso fuoco. In Italia la bestemmia non è più reato dal 2011, ma viene perseguita come illecito amministrativo al quale segue una sanzione di importo variabile tra i 51 e i 309 euro. Su Facebook, invece, è tolleranza zero: lo testimonia l'espulsione inflitta ad un trentenne trevigiano, sbattuto fuori dal social forum dopo aver postato commenti irriguardosi nei confronti dell'Altissimo. Tutelatissimo dallo staff di Zuckerberg, un po' meno in casa propria. Il codice di diritto canonico è chiaro: il canone 1369 riserva alle espressioni ingiuriose contro Dio, i santi e le cose sacre una non meglio specificata ma «giusta pena». Eppure, sottolineava nel 2010 il presidente del Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, Rino Fisichella, «bisogna sempre saper contestualizzare le cose». Nel mezzo delle polemiche scatenate da una barzelletta sugli ebrei (con invettiva incorporata) pronunciata dall'allora premier Silvio Berlusconi, la precisazione di monsignor Fisichella era stata paradossalmente condivisa, sul piano dottrinario, dai sostenitori della linea della bestemmia derubricata a mero intercalare. Magari di dubbio gusto, ma scevro da ogni implicazione religiosa, come sostennero ad esempio in Parlamento i Radicali, filosofeggiando: «Parole offensive contro la divinità non possono essere pronunciate dal credente, poiché rispetta il comandamento “Non nominare il nome di Dio invano”, né dall'ateo che non nominerà colui che non ritiene esistere».

Senza iscriversi a questa scuola di pensiero, don Mesagne da Lecce ha dottamente argomentato: «Perché la bestemmia sia peccato devono sussistere tre condizioni: la piena avvertenza, il deliberato consenso e la materia grave. Se manca una sola di esse, non è peccato. Nel caso relativo a Lerda ci sarebbe la materia grave, ma frutto di un forte condizionamento in atto, ovvero la partita di calcio, a condizionare la mente e lo stato psicologico».
Più netta, e senza sconti, la posizione dei Presuli. Pochi giorni addietro monsignor Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara, con uno scatto ha lasciato in fuori gioco ogni indulgenza teorica e pratica, recensendo in modo canonicamente impietoso il film Le streghe di Salem: «Bestemmie come se fosse un linguaggio normale, ad uso e consumo di ragazzi adolescenti, perché lo Stato non ha ritenuto di dover intervenire.

Ma la società ha bisogno di una regolamentazione di vita, di rapporti, di responsabilità, di sollecitazioni alla responsabilità».

Intanto ieri la Corte federale, insensibile alle preghiere, ha deciso: squalifica confermata per Franco Lerda. Dio perdona, il giudice sportivo no.

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