Si sentono beffate due volte, perché dopo aver raggiunto la parità con gli uomini sul posto di lavoro ora devono far fronte a una nuova discriminazione, quella nei confronti di altre donne, le loro stesse colleghe. Chiamatele single senza figli, chiamatele «non mamme», chiamatele «no-mo» - come ha voluto ribattezzarle una di loro, Jody Day, che ne è divenuta la voce principale - ora l'esercito delle lavoratrici senza prole (per scelta o per presa d'atto) ha deciso che è arrivato il momento di alzare la voce, di gridare al mondo che in ufficio non esistono bisogni di serie A e bisogni di serie B e non è possibile che a fare da spartiacque tra le esigenze delle dipendenti ci sia un gruppo di marmocchi alle prese con i primi dentini o i febbroni di stagione.
Nel Regno Unito hanno già cominciato a far rumore, anche perché i dati parlano chiaro: quando è il momento di fermarsi in ufficio più a lungo, sono loro le «prescelte», quelle che nel 40% dei casi si fanno carico delle ore di straordinario non retribuite contro il 26% dei colleghi single maschi e il 17% delle colleghe mamme. In sostanza, se c'è bisogno che qualcuno si fermi fino a tardi, è quasi sempre a una single senza bebè che il capo si rivolge per primo. E se c'è da concedere flessibilità, magari una giornata di lavoro da casa invece che in ufficio, sono quasi sempre le mamme a ottenerla. Così accade che di cose importanti le dipendenti single ne abbiano eccome - magari un papà che soffre di Alzheimer e deve essere accompagnato in casa di cura - ma che al momento della richiesta di qualche giorno off, si faccia più fatica a concedere a una «non-mamma» piuttosto che a una mamma. «A volte risulta impossibile spiegare che la tua vita fuori dal lavoro è più importante di un bimbo piccolo», spiega Jody, 48 anni, fondatrice di Gateway Women, associazione che dà supporto alle donne senza figli, in un variegato universo che non si limita solo al chi «non ha voluto» o chi «non ha potuto» e che è fatto oggi di mille sfumature, di donne che sono arrivate troppo tardi all'ora X, magari per questioni economiche o perché il loro compagno aveva già dei figli. Anche per questo Jane Robinson, zero pargoli al seguito e una lunga storia di straordinari alle spalle, ha fondato dopo 10 anni di lavoro nel mondo dell'ingegneria, un'azienda manufatturiera nel nord dell'Inghilterra che offre flessibilità a tutti i suoi 32 dipendenti, indipendentemente dai marmocchi da sfoderare all'occorrenza.
Finora i sociologi avevano puntato il dito sulla «maternità punitiva» e lo avevano fatto a ragione: le donne con prole faticano molto di più a trovare lavoro (dopo il primo figlio ha un'occupazione il 59% delle donne italiane, praticamente la metà, e il 54,1% delle donne con due figli) e quando lavorano sono peggio pagate. Non è un caso che l'Italia conti le madri più vecchie d'Europa: il 34,7% ha più di 35 anni. Ma ora un nuovo problema affiora ed è quello della «non-maternità punitiva». «Nonostante lo Stato faccia poco o niente per aiutare le lavoratrici con figli - spiega Paola Leonardi, psicoterapeuta e autrice del monologo teatrale Se non sei madre, sei una donna a metà - la mitizzazione della maternità esiste e quindi posso capire che alcune non-mamme comincino ad alzare la voce perché si sentono discriminate».
«Attenzione però - dice Ferdinanda Vigliani, co-autrice con la Leonardi del libro Perché non abbiamo avuto figli e fondatrice del Centro Studi e Documentazione
Pensiero Femminile - Siamo ancora il Paese delle dimissioni in bianco in caso di gravidanza. È bene ricordare che La maternità non è solo un fatto privato, ha effetti sociali. Dovremmo considerarla un lavoro socialmente utile».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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