Hai voglia a parlare di rivoluzione. Il risultato delle elezioni regionali in Sicilia ha certificato un mantenimento dello status quo. O, a essere pessimisti - ché la letteratura siciliana è colma di rassegnazione - una involuzione. La Sicilia è rimasta Lombardia, intesa come terra di Raffaele Lombardo, il governatore uscente capace di arruolare consulenti a dieci giorni dalle elezioni e di piazzare fedelissimi alla vigilia della tornata elettorale.
Gongola, Raffale. Mentre lo scrutinio delle schede elettorali era in corso, il leader del Mpa festeggiava il suo 62esimo compleanno e l'elezione di suo figlio Toti all'Assemblea Regionale. Ma le soddisfazioni dell'ex presidente della Regione non finiscono qui. Da quel 31 luglio 2012, giorno delle sue dimissioni, l'opera lombardiana per aumentare i consensi in chiave elettorale non si è mai fermata. Anzi, ha visto raggiungere il suo apice con le nomine dei commissari che hanno sostituito i sindaci fino alle prossime elezioni. Da Messina a Ragusa, dal Catanese fino ad Augusta, Lombardo ha provveduto (o ci ha provato) a nominare uomini di fiducia con l'obiettivo di allargare il suo appeal elettorale.
Un consenso che non è emerso dallo spoglio (il Partito dei siciliani-Mpa ha ottenuto il 9% di voti contro il 13,8% del 2008), ma che è lo stesso visibile all'Ars, dove Lombardo avrà dieci deputati. Meno visibile, ma ben presente, è il fatto che dietro la vittoria di Rosario Crocetta si celi sempre lui: Lombardo. Perché gente come Beppe Lumia, ex presidente della Commissione antimafia, o Antonello Cracolici, capogruppo regionale Pd, solo per citarne alcuni, sono stati fedelissimi sponsor e sostenitori dell'alleanza con Lombardo e sono ora fedelissimi coriacei della vittoria di Crocetta.
Bersani parla di "risultato storico", ma di storico c'è poco. Innanzitutto perché l'ex sindaco di Gela è stato prima appoggiato ufficialmente dall'Udc e subito dopo, ma comunque dopo, dal Pd. E poi perché Crocetta ha vinto con quasi la stessa percentuale che nel 2008 ottenne il candidato del Pd Anna Finocchiaro sconfitta, guarda caso, da Lombardo. All'epoca, il centrosinistra si presentò compatto ma si parlò ugualmente di débâcle. Questa volta il Partito Democratico ha letteralmente dimezzato il numero dei voti. Hanno fatto peggio il Pdl (passato dall 33% del 2008 al 12,6%) e Sel, Idv e Fli per il fatto che non entreranno a Palazzo d'Orleans.
Crocetta parla invece di rivoluzione, snobbando quella presunta del MoVimento 5 Stelle. Ma con 39 deputati regionali a disposizione avrà bisogno di almeno 7 rinforzi (la maggioranza assoluta all'Ars è di 46 su 90) per approvare le sbandierate riforme. Ecco dunque che l'ipotesi che si riproponga una nuova vecchia coalizione Pd-Udc-Mpa (con la possibilità di qualche accordo con Miccichè, che però di deputati ne ha solo cinque, segno che la strategia di rinnegamento berlusconiano del leader di Grande Sud non ha funzionato) è più che probabile.
Così come è difficile parlare di rivoluzione nei termini in cui ha parlato Crocetta dal momento che i provvedimenti da lui annunciati (come l'azzeramento dei vertici amministrativi della Regione, dell'esercito dei consulenti, delle società partecipate) andrebbero frontalmente contro le scelte fatte dal precedente governo.
Insomma, se di rivoluzione si può parlare bisognerebbe chiamarla gattopardiana: “Cambiare tutto per non cambiare nulla”. Di rivoluzionario c'è il boom dell'astensionismo. Più di un italiano su due che non si presenta alle urne è una cosa mai successa nella Trinacria.
Di rivoluzionario c'è il successo (aspettato, seppur in termini maggiori) del MoVimento 5 stelle, primo partito in Sicilia col 15% delle preferenze, che porterà a Palazzo d'Orleans 15 deputati. Di rivoluzionario c'è l'elezione a presidente della Regione di un sindaco comunista, gay e antimafia, componenti di un amalgama che non ha precedenti. A parte questo, dov'è la rivoluzione?
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