Un'ondata di feroci proteste ha colpito il ministro dell'Istruzione, Giuseppe Valditara. Motivo? L'esponente del governo Meloni, intervistato sull'autonomia nell'ambito di un webinar, aveva dichiarato nelle scorse ore che "la richiesta delle Regioni è consentire maggiore equità laddove il costo della vita sia molto più alto". Apriti cielo. Polemiche a non finire da parte della sinistra e dei sindacati, in primis della Cgil, contro Valditara, accusato di volere "tornare a una differenziazione di gabbie salariali come c'era cinquant'anni: una follia. Il nostro Paese è già abbastanza diviso non ha bisogno di aumentare le divisioni", ha tuonato Landini.
Un'intemerata strumentale che è intrisa di almeno due gravi falle. Il ministro non ha mai messo in discussione il contratto nazionale del mondo della scuola – anzi, ieri aveva proprio specificato il contrario – ma semplicemente aveva riportato una problematica che era stata sollevata da alcune regioni riguardo il differente costo della vita nelle diverse città italiane. "Insieme con sindacati e regioni si ragionerà anche di questo aspetto, per cercare soluzioni adeguate in favore di docenti e personale scolastico", ha difatti poi precisato. Dopo di che, a prescindere da come la si può pensare su questo tema tutt’altro che irrilevante, resta comunque un elemento di fondo che sembra essere sempre costante con il passare del tempo: la totale incoerenza e ipocrisia della sinistra.
Le parole del sindaco (non di centrodestra)
Indovinate infatti chi pronunciò la seguente frase nel luglio 2020: "Capisco che sia un discorso difficile da fare, ma è chiaro che se un dipendente pubblico, a parità di ruolo, guadagna gli stessi soldi a Milano e a Reggio Calabria, è intrinsecamente sbagliato, perché il costo della vita è diverso". E poi ancora: "Ogni città ha le sue peculiarità ed è necessario affrontare la questione. Il nostro è un Paese delle non riforme, ma se vogliamo fare un passo avanti rispetto al mondo del pubblico è necessario pensare a una riforma significativa. Nel mondo del privato tra Nord e Sud ci sono ampie differenze di retribuzione", ma "se si tocca il pubblico diventa un tabù. Di pubblico non si può discutere. In Italia ci sono 3 milioni e mezzo di dipendenti pubblici e tutti noi spesso ci lamentiamo di come funziona il sistema pubblico, se si tenta di ipotizzare qualcosa che vada verso una riforma delle regole c'è l'alzata di scudi". E infine, non più tardi di quattro mesi fa: "Due anni fa ho provato a dire che un insegnante a Milano vive con molta più fatica rispetto a un suo collega ad esempio della Calabria e ho ricevuto critiche pesantissime. Ma il tema c'è. Perché quando apriamo le scuole a Milano non abbiamo abbastanza insegnanti?".
Bene: chi può essere mai stato a proferire tali parole? Un esponente della Lega? Di Fratelli d’Italia? Un pericolosissimo padano indipendentista? No. Si tratta di Giuseppe Sala, sindaco di Milano, eletto per due volte sotto l'ombrello del Partito Democratico. Quando ancora si era in pieno Covid, dunque, il primo cittadino del capoluogo lombardo – che da lì a breve si stava apprestando a ricandidarsi alla guida della città – aveva sollevato in maniera chiara e netta il tema dell'elevato costo della vita a Milano e degli stipendi dei dipendenti pubblici (tra cui anche gli insegnanti).
Soltanto che, a differenza di oggi, all'epoca non si registravano particolari urla di sdegno nei confronti di Sala da parte del mondo sindacale e della sinistra parlamentare (ad eccezione dell'allora ministro Beppe Provenzano). Si vedrà in futuro se il dibattito tornerà in auge in qualche maniera. Tuttavia, un punto resta sempre inalterato: la faccia tosta della sinistra.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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