Lo Stato debole contro il terrorismo

Nove anni di galera per aver gambizzato il manager Ansaldo: pena "corretta", ma così vincono gli anarchici

Lo Stato debole contro il terrorismo

Ci sono brigatisti della prima ora, come Maurizio Ferrari, che sono rimasti in carcere trent'anni senza aver mai ucciso. I due anarchici che a Genova spararono all'amministratore delegato di Ansaldo nucleare Roberto Adinolfi se la sono cavata con molto meno e usciranno prima. Alfredo Cospito è stato condannato a 10 anni 8 mesi, Nicola Gai a 9 anni e 4 mesi. Adinolfi venne gambizzato il 7 maggio 2012 e quell'azione terroristica venne letta dagli inquirenti come un pericolosissimo passo in avanti verso la lotta armata da parte della galassia anarchica.

Gli anarco insurrezionalisti hanno modalità operative diverse rispetto alla storia del brigatismo: sono specialisti delle bombe e dei pacchi bomba, la pistola è una novità. E purtroppo il fatto che i protagonisti del ferimento di Adinolfi siano stati bloccati, non deve far cantare vittoria. È anni che i tecnici del terrore confezionano buste esplosive: gli ordigni-trappola hanno colpito giornalisti, militari, personalità varie. I risultati degli sforzi investigativi invece sono molto modesti: venne arrestata a suo tempo la postina che aveva portato la rivendicazione dell'attentato a Palazzo Marino. Poco d'altro.

Seguire questo magma è difficilissimo. Gli anarchici operano al buio, non sparano quasi mai e non hanno la struttura gerarchica dei brigatisti.

E però hanno una forza molto superiore a quella degli epigoni delle Br. Insomma, se la condanna di Cospito e Gai scaccia le frustrazioni storiche degli investigatori, va anche detto che i 9-10 anni appaiono perfino pochi.

Intendiamoci: a rigor di legge la pena è congrua. Il calcolo è semplice: partendo dai 21 anni dell'omicidio si toglie un terzo, perché il delitto è stato solo tentato, e poi un altro terzo per la scelta del rito abbreviato. Infine si aggiunge qualcosa per l'aggravante, riconosciuta, delle finalità terroristiche.

Ma quel che può lasciare perplessi è la scelta della procura di Genova di non contestare i reati associativi. La storia delle Br è appunto un susseguirsi di processi per banda armata. Qua invece si è circoscritto il tutto al solo episodio del 7 maggio 2012. Lo conferma il procuratore capo di Genova Michele Di Lecce: «Non abbiamo contestato reati di natura associativa ma un fatto specifico, commesso con l'aggravante delle finalità di terrorismo». Per la procura resta una vittoria, ma la critica è legittima: anche l'eversione di matrice anarco insurrezionalista, a dispetto della natura fluida e camaleontica, ha una struttura. Ramificazioni. Sponde all'estero, dalla Grecia alla Spagna. È sfuggente e senza gradi, viaggia sulla rete e su internet, appare e scompare: ma queste caratteristiche non attenuano la gravità del pericolo. Anzi, l'amplificano. E il movimento anarchico ha trovato nuova linfa fra le frange più estremistiche dei No Tav, in Val di Susa. Qualche settimana fa un giornalista della Stampa ha ricevuto un pacco bomba: 120 grammi di polvere esplosiva. E alla fine di ottobre una bomba carta è stata lanciata all'interno del cortile del carcere di Ferrara per salutare i compagni reclusi.

Certo, si comprende la possibile obiezione della procura: proprio la natura volatile e inafferrabile del network criminale rende difficile, scivoloso contestare i reati associativi. Meglio puntare su quel singolo episodio senza allargare a dismisura l'inchiesta.

Ma è anche una pia illusione pensare che tutto sia finito con l'attentato ad Adinolfi.

Qualcuno, prima o poi, dovrà stanare i signori del terrore.

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