Milano - Altro che sobrietà ed eleganza. Gabriele Albertini, proconsole di Mario Monti in terra lombarda, indirizza a Roberto Formigoni un messaggio allusivo che lascia sbalorditi: «Io faccio un avvertimento a Formigoni: non mi inquieti troppo, perché io posso fare delle dichiarazioni che lo metterebbero a terra e lui sa di cosa sto parlando».
Già, qual è l'oggetto misterioso dello sgradevole rebus? «Nulla di penalmente rilevante, il mio è un discorso politico, mi riferivo al progetto politico elaborato con Formigoni in questi mesi», precisa il candidato alla presidenza della regione Lombardia, senza chiarire un bel niente. Anzi, le parole volutamente oscure di Albertini fanno immaginare un non detto, una sorta di zona franca nel retrobottega del Pirellone, o qualcosa del genere che mette a disagio.
«È un linguaggio che si usa altrove, con la coppola, per minacciare qualcuno - gli risponde dagli schermi di Tgcom24 Matteo Salvini, uno dei leader del Carroccio - non è elegante né lombardo. Non gli fa onore un linguaggio di questo tipo».
Insomma, secondo Salvini, Albertini usa un lessico più vicino a quello di Cosa nostra che all'understatement di marca british tanto decantato in casa Monti. Gli italiani si sono fatti in questi mesi l'idea che Monti voli alto sulle misere beghe del Palazzo, col passo lungo e disinteressato del professore prestato, fra una lezione e un coffee break, alla prima linea del governo. Ma i suoi luogotenenti, come Albertini, costruiscono frasi che sembrano intrappolare la realtà in un labirinto di ombre e angoli bui.
Non è la prima volta che l'alfiere del centrismo lombardo prova a giocare sul filo dell'ambiguità con la testa di altri candidati, sporcandone l'immagine con riferimenti torbidi. A novembre Albertini aveva aperto il fuoco direttamente contro Maroni: «Fa effetto - aveva insinuato ai microfoni della Zanzara di Radio24 - un candidato alla presidenza della Regione Lombardia che ha una condanna come Maroni. E poi non sappiamo cosa succederà per le vicende Finmeccanica, può darsi che arrivi qualcosa dopo. Anche su Maroni, perché no?».
Ora è vero che Maroni ha subito un processo per resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale, ma quei riferimenti, quel tintinnare di manette sullo sfondo delle tangenti e degli appalti sospetti di Finmeccanica erano parsi come un segnale di clamorose e imminenti iniziative giudiziarie. Invece, qualche giorno dopo, il procuratore di Napoli Giovani Colangelo aveva fatto a pezzi la profezia di Albertini: «Maroni non è indagato». Nulla di nulla. E così lo scoop di Albertini era stato derubricato ad affondo fangoso.
Il rinnovamento montiano passa, a quanto pare, per queste immagini non sempre edificanti e nitide, ma bagnate nell'acqua sporca di una lingua che sembra vecchia e perfino ricattatoria. Il tono serioso del Professore col loden perde autorevolezza e pare sottintendere una resa dei conti. Qualche giorno fa, Albertini aveva pescato nel vocabolario del sesso per attaccare il Celeste: «Formigoni si è reso conto che fra Pdl e Lega sta avvenendo un rapporto contro natura, così come l'ha definito Maroni, e per non essere nel lato passivo del rapporto, si è seduto su qualche sedia dove sta più comodo». Fantasie non proprio fumo di Londra. Ora arrivano le gocce di veleno, sempre indirizzate al governatore. Che non replica. «Spiace la gaffe di Albertini - commenta Gianni Riotta - se ha elementi li indichi, minacciare è sgradevole».
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