Roma - Il Senato approva l'emendamento «salva-direttori», nel ddl «salva Sallusti», che Sallusti in realtà non lo salva. Scaduti i 30 giorni di sospensione della pena a 14 mesi di carcere, il direttore de il Giornale attende di sapere dai suoi legali, convocati stamattina in Procura a Milano, quando entrerà in cella.
Nell'aula di Palazzo Madama l'emendamento del relatore Filippo Berselli passa con il parere contrario del governo: 122 sì, 111 no e 6 astenuti.
«Giornalisti sotto attacco», protesta la Federazione nazionale della stampa. E proclama lo sciopero generale per lunedì prossimo. Nello stesso giorno in cui è previsto il voto finale del provvedimento, dunque, «il silenzio dell'informazione» si farà sentire contro quello che il segretario del sindacato dei giornalisti, Franco Siddi, definisce «un disegno di aggressione a un'intera categoria professionale senza riparare eventuali lesioni della dignità e dell'onore delle persone per errori o orrori di stampa».
L'ultima modifica al testo camaleontico, che si dibatte in Senato tra le liti dei partiti, prevede per i direttori solo una multa fino a 50mila euro, mentre rischiano la detenzione gli autori degli articoli. Se sono ignoto o giornalisti sospesi o radiati dall'Ordine, la multa scende a 3-30 mila euro. Sarebbe il caso di Sallusti e dell'autore del pezzo diffamatorio, Renato Farina.
Il Pdl festeggia per «una buona legge», mentre il Pd annuncia l'ostruzionismo contro un testo «aberrante». E con la richiesta del voto segreto sul fondamentale articolo 1 del ddl, spiega Vincenzo Vita, tenta in extremis di «affossare questa legge obbrobrio».
Il sottosegretario alla Giustizia, Antonino Gullo, spiega i problemi tecnici dell'emendamento che incide anche sui reati fatti in concorso da autore e direttore, prevedendo sanzioni differenti. Ma il governo viene bocciato.
Per lo stesso reato di diffamazione a mezzo stampa, dunque, il carcere per i giornalisti e la multa per direttori e vice responsabili. «In una sola norma - commenta Luigi Li Gotti dell'Idv - ci sono due mostriciattoli giuridici. È invotabile».
La votazione è lunghissima e la vicepresidente di turno, Rosi Mauro, richiama i senatori a sedersi per limitare il fenomeno dei «pianisti» che si esprimono per gli assenti. Per quasi due ore è un fiume di critiche bipartisan da Pd, Idv, Udc e Api. Si scagliano contro l'emendamento i democratici Gerardo D'Ambrosio, Vincenzo Vita e Silvia Della Monica, l'ex Pdl Roberto Centaro di Cn e Francesco Rutelli dell'Api.
Roberto Castelli della Lega corre in soccorso di Berselli, facendo appello ai banchi del centrodestra: «Non è possibile lasciare il relatore sotto il bombardamento della sinistra». Ma è il relatore, alla fine, a vincere.
Alle critiche di Vita, che parla di incostituzionalità del testo, Berselli risponde: «Avevamo 60 milioni di commissari tecnici, adesso abbiamo 60 milioni di costituzionalisti. Non c'è nessun contrasto con la Carta». Quanto al problema del reato in concorso punito con due sanzioni diverse, spiega: «È vero che c'è una diversa sanzione penale, ma interveniamo sulla legge speciale in materia di stampa, che può derogare alla norma generale. Comunque, una cosa è l'autore, un'altra il direttore, che svolge un ruolo diverso».
Vengono bocciati i due subemendamenti di Api, per salvare dal carcere solo il direttore che non abbia concorso all'ideazione del reato e per istituire il registro degli pseudonimi.
Lunedì si fermano quotidiani, tv, agenzie di stampa, periodici, testate web, free lance e uffici stampa. Mentre alla Camera si preparano a chiudere le porte al ddl.
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