Le inchieste hanno acceso la miccia, facendo esplodere la guerra interna a colpi di ramazza. E le inchieste ora riattizzano il fuoco sul Carroccio. Perché se le indagini sul tesoriere Francesco Belsito in fondo circoscrivono per il momento solo a lui le responsabilità penali, quelle sulle presunte tangenti alla Lega da parte di Finmeccanica gettano ombre ben più gravi.
E allora, i cerchisti provano a rialzarsi. Dicono i deputati che c’è da farsi venire il torcicollo, in verità, soprattutto perché non c’è rimasto nessuno: «La Rosi è fuori, l’Umberto è a terra, Reguzzoni sta fuori dai giochi. Chi dovrebbe rialzarla la testa?». Ma è solo perché hanno un punto di vista «romano». Per capire la Lega di queste ore bisogna fare un salto a Varese, la patria del leghismo e di Maroni, Bossi e Reguzzoni. Per la precisione, bisogna spostarsi sulla sponda meridionale del lago, a Cazzago Brabbia, la città di Giancarlo Giorgetti (nella foto). Nel mirino c’è lui, l’uomo «delle nomine», come ha ricordato Bossi qualche sera fa. L’ultimo veleno riguarda il fratello Francesco. Se c’è una cosa vera fra quelle dette ai pm da Lorenzo Borgogni, l’ex responsabile Relazioni istituzionali di Finmeccanica e uomo chiave dell’inchiesta sulle tangenti, è che il fratello di Giancarlo lavora all’Agusta Westland. Non servivano i segugi per scoprirlo, la sua scheda spunta fuori persino sul web: avvocato all’Eni dal 2007 al 2010, dal luglio 2010 «Contract manager, international government business unit». Nessun segreto, e anzi. A smentire collegamenti con le tangenti è lo stesso Borgogni, che interpellato dal Giornale dice: «Agusta Westland ha decine di figure come la sua. Secondo me lui, che è lì da un annetto, non c’entra nulla». Ma tanto basta a soffiare sul fuoco.
Dicono che quando, subito prima di dare il via al ballo della scopa, Maroni sondò in consiglio federale chi sarebbe stato disposto a schierarsi contro il capo, Giancarlo restò in silenzio. Poi, iniziate le danze, fu lui, «GiGi», ad alzare il telefono per imporre un passo indietro a Maurilio Canton, il segretario che Bossi impose a Varese beccandosi i primi, inediti fischi della base, che pretendeva un maroniano. «Giorgetti sconta la sua equidistanza» avvertono i cerchisti.
Non è solo questo. Il fatto è che in Lombardia sia i cerchisti sia i maroniani moderati, i cosiddetti «terzopolisti», puntano su di lui per la successione a se stesso alla guida dei lùmbard. Sperano che Bossi lo imponga come segretario, anche se da Statuto non potrebbe più ricoprire l’incarico. In ogni caso, dicono che «i big dei consensi» hanno deciso che non sarà il maroniano duro e puro Matteo Salvini a vincere il congresso. È alle Alpi Orobie che si guarda, e cioè al bergamasco Giacomo Stucchi, già incoronato da Roberto Calderoli e dall’ala moderata. Il tutto, comunque, con Giorgetti presidente, a garanzia degli equilibri. «Salvini non spaccherà il partito», si dicono certi i terzopolisti. E magari è vero. Intanto però, a Varese la guerra è incominciata. A guidarla quell’Andrea Mascetti più maroniano di Maroni, che il sito cerchista «Velina verde» definisce «il camerata» e «la vera eminenza grigia di Bobo». «Dopo i cerchisti faremo fuori i terzopolisti» è la crociata annunciata dai suoi, là dove alcuni ipotizzano che in questo l’avvocato fondatore della inflessibile Terra Insubre stia scavalcando Maroni, altri giurano che figurarsi, se Bobo fa lo gnorri è solo perché gioca al poliziotto buono e a quello cattivo. Il tassello che non va a posto sono i reguzzoniani. A Roma giurano che «Marco vuole Giorgetti segretario in Lombardia», ma a Varese diversi reguzzoniani starebbero prendendo le distanze.
Dettagli, visto che la minoranza interna ha poche forze per combattere. «Possiamo solo aspettare, forse Bobo si giocherà la credibilità su una vicenda piccola, e non sulle grandi tangenti, difficili da credere» ragiona un cerchista. Si riferisce alla vicenda Pini, il deputato romagnolo uomo di punta della scuderia maroniana che la procura di Forlì accusa di aver nascosto all’erario 2 milioni.
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