La fase due è incominciata. Dice Roberto Maroni che il governatore lombardo Roberto Formigoni si sbaglia di grosso, quando dà per certo che la Lega sosterrà i candidati del Pdl ai ballottaggi. Se mai il Carroccio non farà apparentamenti, lasciando «totale libertà» agli elettori. I tosiani la dicono meglio, lasciando intravvedere accordi diversi a livello locale: «Ai ballottaggi voteremo le persone perbene, anche se fossero di sinistra». Primo esempio ieri a Tradate e Cassano Magnago, dove la Lega ha respinto lo scambio di sostegno offerto dal Pdl.
È solo il primo passo della strategia della «nuova» Lega. Nella Prima Repubblica si sarebbe detto: politica dei due forni. Nella Terza Repubblica del modello Tosi, il «leghista democristiano», la linea sta tutta in una frase di un dirigente veneto: «Diciamo che se fossimo a Palermo al ballottaggio voteremmo per Leoluca Orlando». Là dove i maroniani non escludono che in futuro sia possibile guardare anche allarea democratica e centrista, in fondo, annotano, «i moderati di Udc, Pdl e Pd sono vicini su molti temi». E poiché qui il tema resta il federalismo, i giochi restano aperti. Di certo, se dialogo col Pdl sarà, avvertono, sarà con un Pdl targato Angelino Alfano, se il segretario andrà oltre Berlusconi, ché «con Silvio siamo andati a Roma per portare a casa niente e quello schema non è riproponibile». Del resto è presto per definire le alleanze nazionali, che dipenderanno dalla legge elettorale, ma anche da quanto peso la Lega riuscirà ad acquisire.
Quindi: primum sopravvivere, deinde rafforzarsi. Obiettivo: tornare un partito forte al Nord entro lanno, cioè entro le Politiche. Per poi «giocarci una golden share sul federalismo, con chiunque». La vecchia Lega, dicono, quella della secessione e dei toni urlati, è ormai «bruciata». Da qui in poi si potrà solo cercare una «via costituzionale» al federalismo, come ha detto ieri Flavio Tosi a Repubblica. Infatti, la strategia prevede proposte «per un federalismo graduale», fra disegni di legge e referendum propositivi, con la certezza che «su questo incontreremo consensi trasversali dalla linea Gotica alle Alpi».
Tutto dipende da chi saranno i nuovi dirigenti, però. Il laboratorio Verona ha dettato la linea e spianato la strada a Maroni nella guerra per le redini del Carroccio. «Verona ha dato fiato, evitando il crollo verticale. Ma come Flavio non se ne vedono molti in giro» avvertono i tosiani. Come dire che il futuro si gioca ai congressi, nazionali e federale.
I maroniani sono preoccupati. Non è affatto scontato, lamentano, che Umberto Bossi molli la presa. Prima delle amministrative in molti avevano pensato che il suo continuo ribadire che «devo candidarmi per forza, o la Lega si spacca», fosse una strategia per portare alle urne i suoi fan, oltre a quelli di Bobo. Ma ora aumentano i dubbi. «Il carattere delluomo non cambia: vuol continuare a comandare, perché pensa che il partito coincida con lui» dice amaro un veronese. «Bossi non mollerà mai e poiché nessuno ha il coraggio di farlo fuori da tutto, anche se accettasse di fare il padre nobile, continuerà a far pesare la sua voce», conviene un dirigente milanese.
Così, ecco spiegato perché Maroni continua a rinviare il momento in cui scioglierà la riserva sulla sua candidatura. Aveva detto che ne avrebbe parlato dopo le elezioni, ieri ha spostato lappuntamento a dopo i ballottaggi. «Bobo vuole aspettare di capire cosa succederà ai congressi nazionali di inizio giugno». Lì, i candidati maroniani sono decisi: Matteo Salvini e Giacomo Stucchi per i lumbard, Flavio Tosi per la Liga veneta. Chi saranno gli sfidanti è tutto da capire, e per ora il Senatùr sapientemente tace.
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