Tagliare l'Irap o l'Irpef? L'eterno derby fiscale buono solo per illuderci

Esecutivo indeciso se aiutare imprese o lavoratori. Ma il trucco è noto: si fanno grandi annunci per arrivare a un compromesso inefficace

Il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan
Il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan

RomaC'è la guerra tra capitale e lavoro; quella tra rendite e profitti; tra individui e famiglia, a sua volta declinata nella versione tradizionale o in quelle non convenzionale. Poi, lasciando da parte ideologie e valori fondamentali, gli interessi contrastanti di piccole e grandi aziende. Con buona pace del ministro dell'Interno Angelino Alfano, il premier Matteo Renzi non è riuscito a rottamare l'usanza italiana di trasformare le politiche fiscali in derby calcistici. Dicotomie sulle quali partiti e partini (ma non dovevano scomparire?) e interessi organizzati esercitano la loro forza di interdizione e che spesso finiscono in compromessi che cancellano qualunque efficacia all'azione di governo.
Dopo un periodo di incubazione è esploso il dualismo tra tagli all'Irpef e all'Irap. Lo stesso Renzi ne parlava da settimane, per lo più ignorato, esprimendosi a favore di un taglio all'Irap da 10 miliardi, che per le imprese significa un risparmio del 33 per cento sulla imposta più odiata. Pragmatismo catto-toscano che sembrava non stonare troppo su Renzi. Ma poi sono arrivare le indiscrezioni su un inversione a U del premier a favore di un taglio dell'Irpef per i redditi sotto i 25mila euro. Partita ancora da giocare, con squadre contrapposte nella maggioranza, nel governo e nel Paese. Con grandi probabilità che il tutto finisca in un italianissimo pareggio.
Lo schema non è nuovo. Pochi mesi prima si era consumata un altra battaglia: quella tra abolizione dell'Ici e taglio del cuneo fiscale. Un'altra era. Il governo era quello Letta versione 1.0, quindi con tutto il Pdl nella maggioranza. Uno spettro politico troppo ampio, tanto da comprendere le due scuole di pensiero contrapposte sul fisco: da una parte il centrodestra che preferisce mettere in tasca i soldi ai cittadini (questo sarebbe stato l'effetto della cancellazione dell'imposta patrimoniale sulla prima casa) e il centrosinistra che preferisce indirizzare i benefici sui rapporti di lavoro, meglio se classici: dipendente a tempo indeterminato e magari in una grande azienda.
Ma non sempre i derby fiscali dividono gli schieramenti normali della politica. Ci sono politiche come il quoziente familiare, cioè un'imposizione fiscale che favorisce le coppie con figli, che sono trasversali. Il centrodestra è stato da sempre favorevole, ma a suo tempo preferì rimodulare le aliquote Irpef. E furono in molti, nella maggioranza dell'esecutivo Berlusconi, a chiedersi se non fosse stato meglio puntare su una politica fiscale più filo famiglia.
Non sono mancati i derby sulle stangate, quasi tutti giocati a sinistra. Non molto tempo fa, l'alternativa è stata tra tassare i Bot oppure fare una patrimoniale. L'ex segretario Pd Pier Luigi Bersani propose la tassa sui patrimoni in alternativa all'aumento dell'Ici. Appena tre anni fa, l'ex ministro pd delle Finanze Vincenzo Visco si chiedeva se fosse preferibile a un prelievo sui conti correnti. E arrivò alla conclusione che, no, è meglio la patrimoniale. Esercizi di stile, amati dai partiti quando devono solleticare simpatie e gli odi dei rispettivi elettori.
Ma ci sono anche dicotomie concretissime. Di solito non vengono sbandierate e spesso si presentano sotto forma di clausole di salvaguardia. Nel decreto Salva Italia del governo Monti ce n'era una enorme, passata quasi inosservata: l'aumento dell'Iva. Presentato come un alternativa ad una stangata sull'ultimo scaglione Irpef, era in realtà una polizza sui conti pubblici: se non si fosse riusciti a tagliare la giungla delle detrazioni fiscali per 4 miliardi nel 2012, sarebbe scattato un punto di imposta sui beni e i servizi. La prima opzione avrebbe colpito in modo chirurgico interessi limitati, ma organizzati e potenti. La seconda avrebbe colpito indistintamente tutti. Inutile dire che, alla fine, per inerzia, il derby è stato vinto dall'aumento dell'Iva.
Un pattern classico.

Le iper ideologizzate partite sul fisco, le perdono sempre i contribuenti, visto che la pressione fiscale continua ad aumentare. Perché nessuno - nemmeno il rottamatore Renzi - ha il coraggio di iniziare il vero derby, che è quello tra tagli alla spesa pubblica e aumento delle tasse.

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