Walter Matteotti ha 35 anni e pratica street bouldering, arrampicata sportiva con materassi per attutire le cadute o con corde di protezione, anche in città, da dieci anni. Ma sottolinea che «non è una disciplina a sé stante, si tratta pur sempre di arrampicata, solo su una superficie diversa, e proprio lo sviluppo ha portato a praticarla anche in città».
Sviluppo? Quindi arrampicare sui palazzi è una forma di progresso?
«Non si può rimanere fermi a quello che c'era vent'anni fa, quando si andava su con gli scarponi di carta. Arrampicare in città vuol dire promuovere questo sport, avvicinarlo ai giovani».
È uno sport educativo? Non pensa che non sia adatto a chiunque, considerando che un errore si può pagare caro?
«A differenza di quasi tutti gli altri sport, l'arrampicata può essere praticata insieme anche da persone con grosse differenze di età e di livello di preparazione. E non è pericoloso come si pensa: ci si assume una responsabilità, certo, ma gli incidenti capitano per errori. Se si seguono con precisione tutti gli accorgimenti non ci sono rischi».
Arrampicare in città su edifici storici non rischia di rovinarli? Non sarebbe meglio lasciare gli sport estremi alla loro dimensione naturale e tutelare i beni culturali?
«Sono contrario a ciò che è illegale, così come sono contrario all'idea di lanciarsi dal Duomo senza autorizzazione. Ma ho arrampicato in diverse occasioni su edifici storici, ad esempio durante il festival che si è tenuto a Trento lo scorso anno, oppure a Legnago, nel mantovano. E in tutti questi casi eravamo autorizzati dalla Sovrintendenza: sono edifici che resistono lì da secoli, dubito che il peso di una persona li possa rovinare.
Non sarà che queste discipline estreme sono diventate un po' «di moda»?
E anche se fosse? Non mi pare che il calcio o il basket non siano di moda».
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