Tenetevi pure la signora ma ridateci i nostri marò

La Bonino si fa lo spot con la Shalabayeva. Ma sarebbe stato molto meglio pensare ai nostri militari detenuti ingiustamente in India

I marò italiani Salvatore Girone e Massimiliano Latorre
I marò italiani Salvatore Girone e Massimiliano Latorre

Può benissimo tripudiare, Emma Bonino, per il felice esito del molto pasticciato e opaco «caso Shalabayeva». Caso «che mi bruciava», come nei suoi consueti franchi modi il ministro ha precisato. Aggiungendo che la Farnesina ha lavorato sodo, per mesi e dietro le quinte, affinché la moglie dell'oligarca Muktar Ablyazov («dissidente» e quindi con un valore civile aggiunto, ma anche oggetto di 17 azioni legali presso la Suprema corte britannica per appropriazione indebita di 3,7 miliardi di dollari) e la piccola Alua riguadagnassero la libertà di movimento. Previo pagamento, si presume da parte del governo italiano, d'una cauzione della quale non si conosce l'ammontare. Tutto è bene quel che finisce bene. D'altronde si sa, il ministro Bonino è molto presente nel contesto internazionale dove non manca mai di far udire l'acuta voce dell'Italia e, se serve, di mettere in riga chi di dovere. È il caso dell'intemerata contro il presidente ugandese Yoweri Museveni che ha promulgato una legge omofobica di sicura durezza: carcere per gli omosessuali. Legge «punitiva e contraria a numerose convenzioni internazionali, odiosa e oscurantista». Le indiscusse qualità - passione, competenze, aspirazione a sanare le ingiustizie - tutte cose che la Bonino ha sempre dispiegato, presentano però un buco nero. Tanto battersi per la consorte e la figliola d'un «dissidente», perché lungo il Nilo siano rispettati gli orientamenti sessuali degli ugandesi e poi per Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, niente. Niente dietro né davanti le quinte. Poco meno di tre anni sono trascorsi da quando i nostri marò furono dati in consegna alla Corte di Kerala. E siamo ancora qui ad aspettare che l'altra Corte, quella suprema indiana, stabilisca se la giurisdizione sul caso appartenga all'Italia o all'India. Ciò che nel parlar corrente chiamasi menare il can per l'aia. E l'India mena noi, il nostro ministro degli Esteri per primo, per il naso. Sul palcoscenico internazionale, sul quale la Bonino vuole imporre un'immagine dell'Italia diplomaticamente specchiata, facciamo dunque ridere. E passi, se a pagare non fossero Girone e Latorre.

Pressoché dimenticati dalle così dette istituzioni, ma non da noi tutti. Faccia dunque vedere chi è, signor ministro, non solo al kazako Nazarbayev, non solo a Museveni. Anche all'indiano Manmohan Singh. E porti a casa quei ragazzi.

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