"Vi spiego perché il terrorismo non è finito. Ma gli anni di piombo..."

Zeffiro Ciuffoletti, massimo conoscitore della storia politica e culturale italiana, ci spiega le origini dell'anarchismo, la sua ascesa e i legami con le altre organizzazioni terroristiche. Dall'800 ad oggi è un percorso segnato da una violenta scia di sangue e morti.

"Vi spiego perché il terrorismo non è finito. Ma gli anni di piombo..."

Il professore Zeffiro Ciuffoletti, editorialista, accademico e storico di fama internazionale - ha insegnato a Siena, Firenze e in America – è un autorevole conoscitore dei fenomeni politici italiani. Grande esperto del Risorgimento e del pensiero di Carlo Rosselli, nel 1997 – tra le sue numerose pubblicazioni – ha dato alle stampe con Mondadori I Rosselli. Epistolario familiare, con introduzione di uno dei massimi uomini di Stato: Leo Valiani. Dinanzi alle crescenti violenze anarchiche che stanno colpendo l’Italia e le sue rappresentanze istituzionali all’estero, tra vecchie utopie e nuove recriminazioni, sono andato a trovarlo nella sua casa di Firenze per avere un prezioso punto di vista. Una delle nostre ultime conversazioni fu proprio qualche tempo fa sui movimenti estremisti dall’Italia liberale di Giolitti agli anni ’70.

Professore, qual è il punto da cui partire per analizzare il mondo dell’anarchismo?

“Intanto è necessario premettere che nemmeno loro sono una cosa sola. Nella storia si sono sempre divisi fra individualisti e collettivisti. Malatesta era contro gli attentati individuali, invece un’altra parte continuò l’idea del grande gesto per sollevare la rivoluzione. Alla fine dell’800, l’Italia era nota in tutto il mondo occidentale per essere la capitale dell’anarchia ed erano stati compiuti attentati drammatici: la principessa Sissi, Umberto I… l’anno prima di tale attentato, si era tenuto in Italia un congresso di “analisi europea” per combattere questo tipo di terrorismo”.

Perché un paese tradizionalmente moderato e conservatore come il nostro ha al suo interno gruppi organizzati così violenti?

“L’Italia non sono sicuro che sia un paese così moderato. È un paese in cui si sono formati gruppi di intellettuali rivoluzionari, come accaduto anche in Russia. I due paesi meno sviluppati – modernamente – d’Europa. La Russia e l’Italia li possiamo definire come “produttori di anarchismo”. E nella penisola la fascia tirrenica da Carrara fino alla Liguria, a cui aggiungere oggi anche il Piemonte ne rappresenta la “culla”. Io penso purtroppo che l’Italia abbia una ricorrente propensione ad alimentare i fenomeni di estremismo. Anche se oggi abbiamo un apparato di polizia che è molto più attrezzato rispetto al passato. Però non bisogna dimenticare che mentre la Germania liquidò la Frazione Armata Rossa in cinque anni, noi ci abbiamo impiegato trenta, quarant’anni. Abbiamo avuto il terrorismo più lungo della storia contemporanea. E forse non è finita”.

Chi sono i massimi riferimenti culturali?

“Bakunin ad esempio. Nel 1865 con l’arrivo di Bakunin si inizia a parlare di anarchismo, ma il suo non è ancora di tipo terroristico. Passa una decina d'anni e cominciano gli attentati ad personam con l’idea che il grande gesto rivoluzionario sia uccidere un potente per sollevare un popolo. Una tragedia ripetuta più volte. I popoli non si sollevano facilmente e poi l’adesione agli anarchici avviene non tanto negli ambienti operai quanto in quelli intellettuali, e forse anche benestanti”.

Tali gruppi rivoluzionari e antisistema ebbero influenza sul Psi e Pci?

“Sul Psi no. I socialisti se guardiamo in Francia, Italia e Germania, nascono proprio dividendosi o scindendosi dagli anarchici. In Italia c’è sempre stata una vena massimalista - sindacalismo rivoluzionario, fascismo della prima ora ecc… - che è stata poi assorbita dal Partito comunista. Un grande merito che si può dare ai comunisti fu quello di costituzionalizzare le frange più eversive, però c’è stato un dato di contiguità e ambiguità dal punto di vista politico-culturale”.

BR, NAR, criminalità organizzata mafiosa, anarchici. Ci sono punti in comune tra questi estremismi che agiscono al di fuori della legalità dello Stato?

“Gli estremismi o si congiungono o si confondono o vengono utilizzati. Le Brigate Rosse, che non sono solo un movimento terroristico (ci sono ad esempio i Proletari Armati per il Comunismo), sono state chiamate in causa anche per contatti con la malavita, come la camorra, oppure con i servizi segreti. Io penso che a volte quando l’estremismo si radicalizza all’estremo chi ne detiene l’egemonia assorbe il resto”.

C’è da diversi anni, penso anche alle posizioni di Riina, Graviano ecc… un forte tentativo di arrivare a far revocare il 41bis? Cospito è una pedina?

“La mafia ha sempre combattuto il 41bis e non credo che la mafia debba fare le leggi o obbligare lo Stato a trattare. Se questo avvenisse in chiave sotterranea sarebbe difficile da sapere, ma è evidente come il sole che nella lotta politica non ci sono barriere… In questo momento non deve essere revocato e mi pare che Nordio lo abbia ribadito chiaramente. Si dovrà però avviare una discussione tenendo conto di cosa dicono la nostra Costituzione e i richiami europei. Rivederlo sì, ma non sotto ricatto!”.

Teme un ritorno agli anni di piombo?

“No. La storia sembra ripetersi, ma non si ripete mai perché i contesti cambiano continuamente. Oggi i problemi più gravi sono legati a un fenomeno di guerra permanente che dopo un anno non cessa e vediamo che non c’è la possibilità di arrivare ad una trattativa. Attenzione, la guerra non è mai finita, c’è sempre stata, nel cuore dell’Europa si può ricordare la vicenda jugoslava, ma quella attuale riguarda un paese dotato di un arsenale di armi atomiche”.

Citando Aldo Moro, che di quella strategia della tensione fu vittima, l’Italia ancora oggi è una “democrazia complessa”?

“L’Italia è una democrazia che si è fatta con difficoltà, ma è una democrazia, anche abbastanza consolidata. Ci sarebbe bisogno da tempo di riforme costituzionali, ma non si riescono a fare.

Forse, ci sono delle forze trasversali che preferiscono un governo, uno Stato debole a uno forte e autorevole. Forte in un sistema liberaldemocratico vuol dire che la forza proviene dalla convinzione delle leggi, certe e sicure, umane e rispettabili, in quanto alla fine il carcere dovrebbe avere la funzione di redimere”.

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