Dal tribunale in Parlamento: la grande lobby delle toghe

Il caso Porte girevoli all'italiana Da Di Pietro a Nitto Palma: il vizietto della politica è diffuso e bipartisan

Roma - In Parlamento sono una quindicina, in politica molti di più, con un bel drappello tra governo ed Europarlamento. Più centinaia nella struttura amministrativa dello Stato e degli enti locali, almeno contigui al potere politico.

I magistrati che indossavano la toga e oggi sono deputati e senatori, sono sparsi in tutti gli schieramenti. Fuori ruolo pronti a rientrare negli uffici giudiziari a fine mandato o ex magistrati che hanno finito la carriera ma si sentono sempre in servizio. Si fronteggiano su posizioni politiche diverse, ma in casi delicati in cui viene tirata in ballo la corporazione sono pronti ad allearsi nel «partito trasversale delle toghe».

Ci sono quelli che dopo Mani Pulite diventano leader di partito, come Antonio Di Pietro e tanti altri che si accontentano di fare i peones. Ci sono quelli di peso come Anna Finocchiaro, che sembra a un passo dalla presidenza del Senato, dopo 15 anni in Parlamento di cui gli ultimi alla guida del gruppo Pd. E ci sono quelli di base, che affollano le commissioni Giustizia di Camera e Senato, come Gerardo D'Ambrosio (altro protagonista di Tangentopoli) e Silvia Della Monica. Ci sono quelli che sono stati Guardasigilli come Francesco Nitto Palma e quelli che hanno fatto il ministro-ombra della giustizia del Pd come Lanfranco Tenaglia. Quelli che sono sindaci a Napoli dopo essere stati europarlamentari a Bruxelles, come Luigi De Magistris che ora è leader del movimento degli Arancioni pronto a candidare Antonio Ingroia e quelli che hanno fatto i sottosegretari a alla Giustizia, come Giacomo Caliendo o all'Interno come Alfredo Mantovano. Quelli che fanno anche gli scrittori come Gianrico Carofiglio e quelli che escono dal Csm come Donatella Ferranti, che ne è stata segretario generale. Quelli di lotta, come Felice Casson, e quelli di governo provenienti dalla magistratura amministrativa come Antonio Catricalà, Antonio Patroni Griffi e Franco Frattini. Quelli che sono stati assessori a Napoli come Giuseppe Narducci, che ha poi lasciato dopo una lite con De Magistris e quelli che lo diventano adesso, come l'ex pm antimafia Nicolò Marino, entrato nella giunta regionale siciliana di Rosario Crocetta.

La squadra degli eletti in Senato comprende Caliendo, Centaro, Giuliano e Nitto Palma nel Pdl; Carofiglio, D'Ambrosio, Della Monica, Finocchiaro e Maritati nel Pd. Tra i deputati, invece, ci sono Ferranti, Tenaglia, Lo Moro nel Pd; Papa nel Pdl e Di Pietro e Palomba nell'Idv. Se arrivano in buone posizioni la carriera può essere lunghissima e la pensione lontana. La Finocchiaro, ad esempio, per lo statuto Pd dopo 15 anni di mandato dovrebbe passare la mamo, ma sembra che il segretario Pier Luigi Bersani punti a metterla sulla poltrona più alta di Palazzo Madama.

C'è chi li definisce casta, chi parla di lobby. Fatto sta che alcune leggi scomode per la categoria, puntualmente si arenano in Parlamento. Ne sa qualcosa il deputato Roberto Giachetti, con la sua estenuante battaglia per regole più rigide per i magistrati fuori ruolo.

Il problema centrale rimane sempre quello delle «porte girevoli», con toghe che si candidano per un partito e dopo qualche anno pretendono di tornare a fare i magistrati «imparziali», magari nello stesso distretto dove hanno cercato voti. In tanti hanno provato a far marciare in parlamento proposte di legge perché la scelta diventi irreversibile. Inutilmente.

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