Da Craxi a Toti, tutto quello che Tangentopoli non ci ha insegnato sulla (mala) giustizia

32 anni fa si ruppe l'equilibrio di poteri tra giustizia e politica, con danni gravissimi per la democrazia. Il "caso Craxi" ancora oggi è emblematico. Ecco perché

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Il recente "caso Toti" dimostra che lo scontro tra politica e giustizia è sempre attuale. Uno scontro durissimo, senza esclusione di colpi, con i tentativi di porvi rimedio, riformando la giustizia, che nonostante gli annunci e le buone intenzioni sono rimasti fermi al palo. Ne abbiamo parlato con Fabio Florindi, giornalista, autore con l'avvocato Roger Locilento del libro Damnatio memoriae (Libertateslibri, 184 pag, 18 euro).

Con Mani Pulite saltò l'equilibrio di poteri tra politica e giustizia...

"Oggi alcune 'anomalie' dei processi degli anni Novanta non sono ripetibili per una serie di ragioni giuridiche e mediatiche. Tra queste l'introduzione del giusto processo in Costituzione nel 1999, che cancellò la possibilità che un testimone rispondesse solo al pm in fase istruttoria e non ripetesse le accuse in aula, impedendo alla difesa di controinterrogare... i processi a Craxi, e ad altri, si erano basati tutti su quel meccanismo. Eppure quell'equilibrio tra i due poteri non si è più ricomposto. Prova ne sono i processi a Del Turco, Uggetti e Toti, per citarne qualcuno, in cui è stato fatto un uso discutibile della carcerazione preventiva."

Si potrebbe tornare all'equilibrio dei poteri che esisteva prima del 1992?

"Impossibile. I partiti non esistono più e la politica si è indebolita in modo irreversibile. Eppure va trovata una nuova formula, perché finalmente torni, se non la pace, almeno una tregua."

Il 1992 segna una svolta nella politica italiana, una sorta di “big bang” per le inchieste giudiziarie che, di fatto, cancellarono la classe politica che aveva guidato l’Italia per 45 anni. Il libro che ha scritto con l’avvocato Locilento si basa sulle carte dei processi. Cosa avete rilevato di interessante?

"Quello che ci ha stupito più di tutto è come negli anni Novanta in Italia, un paese formalmente democratico, si siano potuti svolgere processi di quel tipo: un uso indiscriminato della carcerazione preventiva, usata come mezzo di pressione psicologica per 'far parlare' gli indagati; testimonianze di imputati che accusavano altre persone e che venivano riferite solo ai pm, con l'impossibilità per le difese di contro-interrogarli. E poi tanti altri particolari che resero quei processi discutibili."

Famoso fu un discorso che Bettino Craxi tenne alla Camera il 3 luglio 1992. Definì “irregolare o illegale” buona parte del sistema di finanziamento dei partiti politici in Italia. Nessuno osò contraddirlo. La responsabilità di ciò che accadde da lì in avanti, dunque, fu soprattutto una “manovra politica”?

"Ci fu un allineamento perfetto di fattori giudiziari, politici, economici e geopolitici che portò al crollo di tutto il sistema."

Le inchieste su Craxi vertevano su prove incontrovertibili?

"Erano basate tutte sulle testimonianze di coimputati che avevano tutto l'interesse a scaricare su altri le proprie colpe. Ma non c'è un documento che indichi Craxi come il destinatario di una tangente e non ci sono tracce di arricchimento personale, come per altro anni dopo ammetterà lo stesso procuratore aggiunto Gerardo D'Ambrosio. C'è un passaggio della sentenza d'Appello che condanna Craxi nel processo della Metropolitana Milanese che è significativo: 'Si può anche dar atto a Craxi che in questo processo non è risultato né che abbia sollecitato contributi al suo partito né che li abbia ricevuti a sue mani, ma questa circostanza – che forse potrebbe avere un qualche valore da un punto di vista per così dire estetico – nulla significa ai fini dell’accertamento della responsabilità penale'."

Una delle accuse rivolte al pool di Mani Pulite fu quella di usare la carcerazione preventiva per estorcere confessioni. La legge lo consentiva... oppure eravamo al di là della legge?

"Non si andò mai oltre la legge, ma vennero usati dei metodi discutibili. L'uso così massiccio della carcerazione preventiva fu facilitato da un espediente: tutte le inchieste di Mani Pulite il pm Antonio Di Pietro le inserisce nello stesso fascicolo, che nel corso dei mesi diventa così grande da impedire alle difese di svolgere il proprio lavoro, come denuncerà l'avvocato Sergio Spazzali. Ma questo espediente aveva un fine preciso: avere lo stesso gip per tutte le richieste di carcerazione."

Quanto fu determinante, nello sviluppo di Tangentopoli, la cancellazione dei reati di finanziamento illecito ai partiti avvenuti fino al 1989 tramite l’amnistia?

"Fu determinante nel senso che in questo modo la sinistra Dc e il Partito comunista vennero toccati in minima parte da quelle inchieste. Ma probabilmente non fu il solo motivo per cui si salvarono..."

Craxi fu sconfitto politicamente e per via giudiziaria e morì in Tunisia, in esilio, secondo lui e alcuni suoi seguaci, da latitante secondo la procura di Milano e molti suoi nemici. Eppure dopo quasi 25 anni l’epilogo della sua storia resta sempre una ferita aperta. Cosa si potrebbe fare per porvi rimedio?

"Niente. In un Paese così partigiano dove ci si schiera a favore o contro 'a prescindere', senza entrare nel merito delle vicende, la ferita non può rinchiudersi. Noi siamo andati, a trent'anni da quei processi, a rileggerci tutte le carte proprio per cercare di non cadere nella faziosità. Una cosa che in un altro Paese probabilmente sarebbe stata fatta molto prima."

In che modo farebbe bene, all’Italia, fare i conti con Craxi?

"Sotto tanti punti di vista. Innanzitutto perché si supererebbe un giustizialismo aprioristico che ha fatto tanto male all'Italia negli ultimi trent'anni. Ma poi anche perché si potrebbero recuperare, aggiornandole ovviamente, le idee di un riformismo moderno e del primato della politica sull'economia."

Quale fu, a suo avviso, il più grande errore politico del leader socialista?

"Ne fece diversi, specie negli ultimi anni. L'errore più grande però a mio avviso fu quello di non aver spinto per una riforma organica del finanziamento ai partiti che si accompagnasse all'amnistia del 1989. Forse, anzi sicuramente, non c'erano le condizioni, però era l'ultima occasione per salvare il sistema dei partiti."

Il vostro libro a chi si rivolge?

"A tutti quelli che non si accontentano delle versioni di comodo e vogliono andare al cuore della vicenda."

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