Guidava, dice il giudice, con «occhi lucidi ed alito vinoso». Ubriaco fradicio, diremmo noi poco pratici di tribunali e molto più di ombre, spriz e mezzi litri. L'etilometro aveva preso paura. Le forze dell'ordine avevano assunto i provvedimenti del caso. Ma il ventenne automobilista sbronzo marcio aveva un asso nella manica: la giustizia italiana. Puzzava, sguardo stralunato, non si reggeva in piedi, in auto zigzagava, eppure è stato assolto «perché il fatto non sussiste». Tutto può accadere nella patria del diritto, perfino trovare un azzeccagarbugli che nega l'evidenza. Altro che beone, quell'irreprensibile adoratore del dio Bacco era uno che tornava dalle terme dove aveva fatto la cura dell'acqua.
Qual è dunque il cavillo per il quale l'ubriaco diventa sobrio, come una rana si trasforma in principe? Un fatto semplice, una sbadataggine, una dimenticanza che fa la differenza: i poliziotti dovevano informare il giovane ciucco che egli aveva il diritto di chiamare un avvocato. Come negli Stati Uniti, quando prima ti sparano, ti ammazzano di botte, ti conciano per le feste, e poi, mentre ti ammanettano mezzo svenuto, i ghisa d'oltreoceano devono avvertirti: «Hai il diritto di stare in silenzio perché quello che dici può essere usato contro di te».
Da noi, anche se sei in «evidente stato di alterazione», non capisci nulla di quanto ti dicono, non riesci a estrarre il telefonino di tasca e manco ti ricordi il tuo, di nome, altro che quello dell'avvocato, hai il diritto-dovere di chiamarlo. Senza un legale armato di codici e pandette non puoi essere sottoposto al test alcolico. Sei sano come un pesce, che non a caso vive d'acqua.
Così ha stabilito il gup di Milano Donatella Banci Buonamici: non si può essere sottoposti all'alcoltest senza che le forze dell'ordine «preventivamente» avvertano della «facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia». Altrimenti «l'accertamento» del tasso alcolico è nullo e non vale come prova nel processo. Le motivazioni della sentenza sono limpide. Scrive il giudice: «L'accertamento mediante etilometro dello stato di ebbrezza», ai sensi del decreto legislativo 285/1992, «è da considerarsi accertamento tecnico irripetibile stante l'alterabilità, modificabilità e tendenza alla dispersione degli elementi di fatto che sono oggetto dell'analisi». Fin qui capiscono tutti, spugne e astemi: il test va fatto subito.
Il fatto è che la procedura (avvertire il guidatore avvinazzato che deve chiamare un legale) va seguita anche quando non ce ne sarebbe bisogno perché la sbornia è palese. Quel ventenne milanese bastava guardarlo in faccia: «occhi lucidi», scrive il gup, e «alito vinoso». Al test alcolemico è risultato positivo. Tutto inutile: se l'automobilista non viene messo al corrente del diritto alla difesa, l'etilometro impazzito diventa una prova senza valore. Resta soltanto «il verbale degli operanti», cioè degli agenti che, come appunto nei film americani, si siedono ai fast food e si fanno portare non un bourbon ma una Coca perché loro sono «in servizio». E il verbale è carta da macero: «Elementi certamente sintomatici - scrive il gup - di uno stato di alterazione, ma che, stante la loro genericità» portano a una assoluzione «perché il fatto non sussiste». Un brindisi per il gup Banci Buonamici.
Ovviamente esultano i legali, vittoriosi per la loro assenza nel fatidico momento della sbronza: «Finalmente anche il Tribunale di Milano con questa fondamentale sentenza ha messo un argine all'uso indiscriminato dell'etilometro da parte degli agenti ai fini della prova del reato di guida in
stato di ebbrezza», hanno commentato gli avvocati Stefano Gallandt e Roberto Enrico Paolini. E che cosa avrebbero potuto fare i legali? Controllare che gli agenti non prendessero fischi per fiaschi. Di Chianti, naturalmente.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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