Un'unione dei moderati, la sola strada per salvarci

Insisto, è già tardi ma c’è una sola via d’uscita seria per la destra liberale e popolare italiana in vista del 2013. Non è detto che sia la via verso una vittoria, percorso che nes­suno conosce, ma è un modo ra­zionale di arrivare a questo tra­guardo complicato, un modello non fondato sul rancore, sulla frustrazione sociale, sulla rin­corsa genericamente estremista e demago­gica dell’antipolitica, in modo da potere, comunque vada, salvare il senso di molti anni di berlusconismo, compresi gli errori che hanno offuscato novità e risultati importanti. Bisogna promuovere subito, partendo da quel che c’è e manifestando apertura verso tutti i settori liberal-moderati e popolari della politica, una lista dal nome «Tutti per l’Italia».

Dentro ci deve essere il Pdl, comunque scomposto e ricomposto, anche un assemblaggio di sigle diverse, anche con un ritorno eventuale a Forza Italia e a nuovi raggruppamenti di scopo.
Berlusconi si sta occupando della filantropia internazionale con Guido Bertolaso, ha da promuovere la nuova generazione che guida nel trambusto della grande crisi le sue aziende, può ispirare un progetto che nasce anche dalla sua esperienza decisiva di questi due decenni, compresi gli errori e le difficoltà, e dalla sua decisione di
dimettersi un anno fa e varare il governo Monti con una maggioranza tripartita di unità nazionale. Per il resto concorrerà per un seggio al Senato, farà un paio di grandi discorsi in grandi eventi programmatici e politici, una o due uscite televisive che siano al livello della sua esperienza migliore, ma non si rimetterà nella mischia per fare un favore ai suoi Arcinemici e non sarà candidato alla presidenza del Consiglio (candidatura che, tra l’altro, con una nuova legge elettorale sul modello di quella approvata al Senato e incoraggiata anche dal capo dello Stato, diventa non più cruciale, subordinata com’è alla ricerca postelettorale di una maggioranza parlamentare di governo). Il candidato leader elettorale della lista lo si sceglie con il metodo delle primarie, e Angelino Alfano è in pole position ma deve ovviamente accettare la più larga dialettica politica interna per una legittimazione seria. A condizione di aderire rigorosamente e disciplinatamen­te al progetto, che è di responsabilità verso il rilancio e la salvezza del Paese in Europa, che allude alla necessità di rimettere le fondamenta per costruire una classe dirigente liberale riformatrice e moderna, nutrita di idee e non di piccolo lobbismo deteriore, possono aderire e sono benvenuti raggruppamenti e liste di varia provenienza. Il finanziamento privato della lista è l’asse della sua organizzazione, che si impernia sull’attività di fund raising. Il partito è virtualmente sciolto come nomenclatura, resiste il comitato elettorale, e la gestione politica sarà assicurata dai gruppi parlamentari e dagli amministratori scelti anch’essi con il metodo delle primarie, senza cacicchi locali e apparati territoriali. Il discorso che questa lista fa all’Italia è semplice, ed è competitivo sia con un centrosinistra pieno di equivoci e di divisioni more solito, sia con il fermento inconcludente di un centro ex terzopolista che vuole fare una razzia di personalità moderate del Pdl e mandare a fondo tutto percontrattare posti con il centrosinistra dato per vincente. Con Monti e la tecnocrazia al potere si è tenuta a bada una grave emergenza. Mentre il centrosinistra radicalizzato di Bersani e Vendola non ha il coraggio di riconoscerlo, ed esclude perfino (per non litigare e dividersi) il nome del presidente del Consiglio dalla Carta d’intenti della coalizione, noi siamo liberi di dire che quella varata per un atto di responsabilità del centrodestra, che aveva vinto le elezioni del 2008 e che era finito sotto un assedio fazioso e antipatriottico, in gran parte responsabile dell’emergenza stessa, è stata la soluzione giusta per l’interesse del ceto medio e di grandi settori popolari e imprenditoriali. Non basta tenere a bada l’emergenza e avviare il percorso delle riforme con metodi tecnici. Ci vuole una democrazia che riassume la sua funzione di guida. Ci vogliono idee meno astratte, e una strategia che vada nel solco della politica europea di Monti e, con il suo aiuto e la sua garanzia dovunque sia collocato, anche oltre i limiti di Monti e del suo governo in questa prima fase. E ci vuole un grande sforzo nazionale, politico e sociale, anche di tipo costituente, per rimettere il Paese in carreggiata e difendere salari, risparmi, investimenti e capacità competitiva del sistema economico, imbrigliando le tendenze meramente speculative della finanza e sfruttando la finanza migliore per le straordinarie performance che è in grado di offrire nei mercati globali, soprattutto promuovendo lo sviluppo e riducendo la presa fiscale dello Stato su cittadini e business, facendo riforme strutturali profonde e incidendo sulla spesa pubblica improduttiva. Tutte cose che non potrebbe fare mai una coalizione con Nichi Vendola, già spostata verso le idee di una sinistra laburista di vecchio stampo ottocentesco.

Non vedo altri modi per essere coerenti con le scelte fatte a novembre dell’anno scorso, e per intercettare il bisogno di protezione e insieme di libertà che è tipico di questo momento di crisi, nel segno di una scelta incisiva negli equilibri del dopo, che disegna uno spazio d’azione e di ricostruzione della coalizione liberale e popolare in Italia.

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