Roma - La diffamazione è un'arte sottile, fatta di furbizie e apparenti ingenuità, di notizie taciute, tagli, allusioni e sapienti costruzioni del racconto. Certi giornalisti ne sono maestri e uno di questi è Michele Santoro, a leggere la sentenza che lo condanna con la Rai a risarcire con 30mila euro Giancarlo Pittelli per averne infangato l'onore, nella puntata di Annozero del 18 dicembre 2008.
Lì, l'avvocato ed ex senatore Pdl, viene presentato ai telespettatori, spiega il giudice del tribunale civile di Roma, Vittorio Contento, come «un riciclatore, dedito a loschi affari», «senza dargli possibilità di replica» e, soprattutto, tacendo che le accuse contro di lui sono già cadute. Il gip di Catanzaro, infatti, le ha archiviate mesi prima, su richiesta dello stesso pm. Così come viene taciuta un'altra archiviazione, suscitando il falso sospetto che l'avvocato Pittelli avesse avvisato un'indagato perché portasse all'estero dei soldi.
Il silenzio di Santoro su questi punti determinanti merita «censura», per il magistrato, perché non si è preoccupato di «informare correttamente il pubblico e tutelare l'immagine del Pittelli». Che alla puntata non c'è, né c'è un suo legale. «Il difetto di un completo contraddittorio - scrive con severità il giudice - avrebbe dovuto essere compensato quantomeno con un'informazione completa».
La storia dell'ex senatore viene inserita nello scenario della lotta tra le Procure di Catanzaro e Salerno, l'una che indagava sull'altra e viceversa, scoppiata dopo le inchieste dell'allora pm, Luigi de Magistris, «Why not» e «Poseidone», poi toltegli dal procuratore generale.
La sentenza del 12 marzo va al di là della vicenda personale e critica duramente il modo del conduttore di costruire la puntata, in modo da presentare come «verità accertata» quello che non è neppure ipotesi, usando anche fiction con attori dalla «particolare efficacia persuasiva». Quella di Contento è un'analisi spietata e feroce al modo di fare televisione di Santoro, disapprovato già all'origine per aver aperto un dibattito in tv non su un processo in corso o definito, ma su un «fatto eclatante» ancora in fase di indagini, senza neppure le accuse formulate: il sequestro degli atti delle inchieste in mano agli inquirenti salernitani da parte dei colleghi calabresi, per presunta interruzione di pubblico servizio e il sospetto che volessero «affossarle».
Anche la scelta dei partecipanti - Travaglio, Ghedini (Pdl), Di Pietro (Idv), Giannini (Repubblica), Vulpio (Corriere della sera), Cascini (allora segretario Anm), il giurista Grevi, il giornalista Massari e un'indagata, Caterina Merante - per il giudice è sbilanciata, fatta ad arte per sostenere tesi preconcette. «Nel complesso - scrive Contento - la partecipazione degli ospiti è stata confezionata in modo da presentare molte più voci favorevoli al De Magistris ed alla Procura di Salerno che ai magistrati calabresi».
Pittelli viene tirato dentro alla guerra tra toghe quando un consulente tecnico nominato da De Magistris racconta nella solita fiction, di «anomalie» in flussi finanziari sui conti del penalista, per un versamento in contante di 2 milioni di euro da parte di tale Schettini.
«Fatto questo in sé per nulla illegale - nota il giudice - ma di sicuro effetto sul pubblico, il quale è portato a presumere... che lo Schettini fosse un soggetto in qualche modo dedito ad illeciti affari... e che l'attore ne fosse coinvolto». Tutto falso, ma lo show a volte se ne infischia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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