Zanda, la "Cernia" del Pd moralizzatore a senso unico

Il premier, oggi a Napoli, costretto allo scontro frontale con Grillo. E teme l'effetto antipolitica anche su regionali e amministrative

Zanda, la "Cernia" del Pd moralizzatore a senso unico

Dopo la scomparsa di Francesco Cossiga, di cui è stato per decenni un satellite, Luigi Zanda ha dovuto fare da sé. Così, da tre anni e mezzo, il senatore Pd si è dato un nuovo look, dentro e fuori.
Da garbato e quasi timido, Luigi si è trasformato in un saccentone politico perdendo quella finezza che era il suo fascino. Il peggio, per un balente sardo di nobili lombi, l'ha mostrato maramaldeggiando a budella intorcinate contro il Berlusca, ferito dalla sentenza di condanna. Da capogruppo del Pd al Senato, Zanda è stato tra i massimi artefici della decadenza accelerata del Cav da senatore. Per di più, stravolgendo il regolamento, ha preteso il voto palese per essere sicuro di dargli il colpo di grazia. Il tutto condito dai toni selvaggi dei giustizialisti portatori di virtù. Non è stato un bel vedere. Per un gentiluomo del suo rango che avrebbe potuto comportarsi con classe e umanità, scendere al livello di un Totò Di Pietro, sia pure alfabetizzato, è una caduta di stile che lo relega irrimediabilmente nel campo boario della politica mugghiante.
Anche l'aspetto esterno dello Zanda postcossighiano è molto mutato. Ha infatti adottato un taglio di capelli corti, drizzati come tanti punteruoli, che gli ha guadagnato il nomignolo di «Cernia» da parte dei colleghi. La cresta, così simile appunto alla pinna dorsale del prelibato pesce, conferisce al Nostro un'aria severa che, sommata al viso grifagno, lo fa sembrare il commissario politico di uno sceneggiato tv.
Nato a Cagliari 71 anni fa, Luigi è figlio di Efisio Zanda Loy, capo della polizia nei primi anni '70. Per questa via - già trentenne e dopo un tirocinio all'ufficio legale dell'Iri - la Cernia approdò al Viminale dal corregionale Cossiga, ministro dell'Interno dc. Ne fu il portavoce e il confidente, tanto più fidato per legami familiari e la comune democristianità. Ma, soprattutto, per l'innata riservatezza del Nostro. Uno dei misteri, minori ma meglio conservati, è per quale ragione abbia tolto il Loy del suo doppio cognome. Mai data una spiegazione, nonostante Cossiga, finché visse, abbia sempre ostentatamente parlato di lui come Zanda Loy. Va detto che anche i suoi fratelli, tra i quali il giornalista Carlo, autore di un affascinante libro su Hermann Hesse, hanno ripudiato la trisillabica appendice, come già fece il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, cancellando Cascio dal suo cognome.
Ma un segreto ben più grande è chiuso nella memoria di Luigi. Quello della vera storia di Aldo Moro, rapito e ucciso quando Cossiga era all'Interno e Zanda al suo fianco. Luigi è probabilmente l'ultimo testimone di quella vicenda dall'osservatorio migliore. Fu lui il primo del Viminale a ricevere la notizia della «seduta spiritica» di Romano Prodi, che indicava in Via Gradoli la prigione di Moro. Poiché nessuno ha mai creduto alla storia dei fantasmi, sarebbe interessante sentire da Zanda come andarono davvero le cose, se ci furono trattative in Italia e all'Estero e la ragione per cui copra la balla di Prodi. Potrebbe illuminarci in nome della moralità che invoca sempre negli altri. Chiudendo però un occhio sulla sua, come vedremo in seguito.
Zanda, al pari di tutti coloro che vivono tra politica e affari, è un lobbista, inteso come affiliato a gruppi di potere uniti da sottintesi e complicità. Terminata la convivenza con Cossiga, pur restando nella sua orbita, la Cernia si legò a Carlo De Benedetti ed entrò nel cda del gruppo Espresso. Vi rimase un decennio, gettando le basi di un rapporto che dura tuttora. La Cernia, infatti, si abbevera quotidianamente al verbo di Repubblica, ne realizza la linea in Parlamento e riceve, in cambio, interviste e appoggi. Il giro è lo stesso di Prodi che, da presidente Iri, favorì De Benedetti nella vicenda Sme. Anche queste son cricche, ed è perciò una pia illusione che, nel caso Moro, Luigi tolga il velo alle fantasie spiritiche di Romano.
Dopo diverse attività politico-manageriali - responsabile del Mose a Venezia, del Giubileo a Roma, nel cda Rai - Luigi ha sentito il bisogno di stabilità. L'occasione si presentò nel 2003 con la morte del senatore del collegio di Frascati e le conseguenti elezioni suppletive. La Cernia si candidò col centrosinistra (Margherita) e, per facilitarne l'elezione, si mosse Cossiga. Secondo una ricostruzione mai smentita, il Picconatore pregò l'amico Berlusconi, allora premier, di non ostacolare la vittoria del suo pupillo. Il Cav, tre volte buono, accettò. Fu così che il centrodestra finse di non trovare le firme necessarie per candidare a Frascati un proprio uomo e Zanda rimase l'unico in lizza. Prese la totalità dei suffragi, ma con la più bassa percentuale di partecipazione al voto della storia d'Italia: il 6,47 per cento degli aventi diritto. In pratica un laticlavio in dono, come quello di Caligola al suo cavallo, per la dabbenaggine del Cav, poi ripagato come sappiamo.
Nelle sue ormai quattro legislature, Luigi si è distinto per moralismo. Una volta si scagliò contro la semplice ipotesi che il Cav potesse essere fatto senatore a vita. «In 67 anni di Repubblica non è stato mai nominato nessuno che abbia condotto la propria vita come Silvio Berlusconi», sentenziò, pensando al bunga bunga. Gli avrebbe ficcato una polpetta in bocca il suo stesso capo, Pier Luigi Bersani, che lo zittì all'istante, consapevole che tra i senatori a vita c'erano fior di viziosi e cocainomani. Nel 2010, il Cernia chiese le dimissioni di Gianni Alemanno da sindaco di Roma colpevole di avere raccomandato l'ingresso di suoi protetti in aziende comunali. Poi si scoprì che tre anni prima - con Veltroni sindaco - aveva fatto lo stesso lui. Fu infatti scovata una sua lettera, su carta intestata del Senato, diretta a Giovanni Hermanin, presidente dell'Ama, municipalizzata romana, in cui caldeggiava l'assunzione di un tizio che gli stava a cuore. E ingiungeva all'Hermanin, con alate parole, di fargli sapere tempestivamente gli esiti della pratica. Fece insomma la magra figura toccata un quindicennio prima all'assessore milanese, Carlo Radice Fossati: un integerrimo della sua stessa pasta che, dopo avere costretto alle dimissioni due sindaci Psi - Tognoli e Pillitteri - brandendo la durlindana della legalità, fu incriminato per tangenti.


Dispiace che un uomo di qualità come Zanda vada peggiorando. Possiamo però sperare che, nell'intimo, sia ancora quello di un tempo e si pieghi solo a esigenze di carriera. Potrebbe farlo valere nel Giorno del giudizio. A meno che non sia un'aggravante.

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