da Washington
Fidel Castro continua a ricevere messaggi di auguri, di un accento sempre più urgente: Chavez, Morales, adesso anche Ortega e Correa, perfino - da un altro mondo - il rappresentante degli ayatollah di Teheran. È un buon segno per la sua «immagine», un brutto segno per la sua salute. Che il regime continua a proteggere con una sorta di «cortina di ferro» diagnostica e terapeutica, sempre più opaca se non per «indiscrezioni» rare e mirate che sempre più spesso assomigliano a «fughe» deliberate di notizie. Le ultime forniscono un quadro clinico più dettagliato e più credibile, che concilia meglio levidenza (da settimane ormai non vengono divulgate immagini del dittatore, dopo quella che lo ha mostrato scheletrico in una vestaglia rossa accanto al suo letto dellospedale) con quello straccio di ottimismo che è rimasto nelle dichiarazioni ufficiali. La «buona notizia» rimessa sempre più spesso in circolo è che «Fidel non ha il cancro». Lo ha detto anche il superspecialista spagnolo Garcia Sabrido. Che è stato però molto più cauto nel formulare previsioni. Le notizie affluite nelle ultime ore, sempre «ufficiose», potrebbero risolvere lenigma: Castro non ha il cancro ma è gravemente malato e le sue condizioni continuano a peggiorare.
Le nuove «fonti», anonime ma che provengono (ha spiegato El Pais) dallo stesso ospedale di Madrid in cui lavora Garcia Sabrido, descrivono levoluzione, ostinatamente non positiva, di una diverticolite al colon che ha provocato una peritonite. I chirurghi si sono messi presto allopera con ripetuti interventi sempre più devastanti, compresa la resezione dellintestino crasso, fallita, poi una colostomia, infine limpianto di una protesi, dopo che uninfezione aveva introdotto delle materie fecali nello stomaco (la stessa tremenda malattia che pare abbia ucciso un re di Spagna, Filippo II). Conseguenze immediate: la diffusa convinzione che Castro, sopravviva o meno, non sarà mai più in grado di riprendere le redini del potere e che quindi il «raulismo», non il fidelismo, sia il futuro immediato di Cuba.
Lisola vive dunque già in uno stadio di transizione, che non significa necessariamente di trasformazione. Raul Castro è sulla scena da mezzo secolo ma continua ad essere unincognita e sul «dopo Castro» si discute con tutte le incertezze e incognite che accompagnarono la lunga agonia del suo parente ideologico, Tito, o del suo compaesano di Galizia, Franco in Spagna. La differenza è naturalmente che questultimo aveva preparato il Paese alla successione, compito in cui Tito ha fallito.
Si gioca dunque a indovinare, cosa ancor meno agevole perché il fratello-reggente si è premurato di presentare per il futuro una sorta di «direzione collettiva» secondo gli antichi usi sovietici; il che consente ai reggitori futuri o presenti di mantenere un silenzio ancora più prudente sulle proprie intenzioni. Il paragone con Mosca anni Ottanta (il fiorire a Cuba, con quasi ventanni di ritardo, di un Gorbaciov) sia il meno fondato. Non trova molti sostenitori, tranne che fra gli esuli cubani a Miami, la fede in un avvento quasi immediato della democrazia nellisola. Uno scenario più probabile è una trasformazione in senso «cinese», cioè una liberalizzazione delleconomia accompagnata da una stretta del potere politico del Partito comunista; una evoluzione cui Fidel cui si è sempre opposto come ad ogni primato delleconomia sulla politica: in questo egli assomiglia semmai a un altro dittatore europeo di destra, il portoghese Salazar, che voleva che il suo Paese rimanesse «povero e virtuoso». Castro preferisce una Cuba povera ma comunista, cioè quello che finora ha avuto.
Se delle riforme si preparano non saranno dunque tali da ammazzare il sistema come desidererebbero molti, a cominciare dal governo americano. Le cui pressioni potrebbero rivelarsi controproducenti e sommarsi così, paradossalmente, alle forze esterne che sostengono e sosterranno il regime.
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