Invita a casa una 18enne, la picchia e la stupra: condannato a 6 anni

La liceale torinese era rimasta sola in via Novara. Il marocchino si è difeso: "Incomprensioni culturali"

Invita a casa una 18enne, la picchia e la stupra: condannato a 6 anni
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Diciotto anni, il desiderio adolescenziale di passare una notte da sola con un ragazzo che le piace, la situazione che prende una piega imprevista prima di diventare un incubo.

«Ho avuto tanta paura. Non me l'aspettavo», le parole di una giovanissima agli agenti della polizia, poco dopo avere subito una violenza sessuale da un 36enne marocchino in un appartamento fatiscente di uno stabile abbandonato a Milano, lo scorso ottobre. La studentessa, che frequenta un liceo di Torino, decide di prendere da sola un treno per Milano. Arrivata in città, si reca in via Novara, dove il coetaneo con cui aveva appuntamento lavora come cameriere in un hotel. Una volta lì, ecco l'imprevisto: l'amico le dà buca. Sconfortata ma decisa a riprendere in mano la situazione, prova a riorganizzarsi.

A quell'ora non c'è possibilità di tornare a casa perché i treni per il capoluogo piemontese ripartono solo dopo molte ore, così prova a trovare un posto dove dormire. Alla fermata del bus per ritornare verso il centro, le si avvicina un ragazzo, giovane e gentile. Le offre di ospitarlo a casa e lei, complice la giovane età e l'inesperienza, si fida e lo segue fino al suo appartamento. Si siede sul divano, guarda Tik Tok, si scambia messaggi con un amico che si trova a Torino. Sembra che tutto sia sotto controllo, ma il 36enne le si avvicina e le fa delle avances.

La ragazza rifiuta molto infastidita, al che lui la picchia, la fa spogliare e poi la violenta. Mentre l'uomo si sta rivestendo, lei riesce a uscire dallo stabile e per fortuna incontra una Volante. Lui viene subito riconosciuto e arrestato: si scopre che è anche recidivo, avendo una condanna per un episodio simile risalente a pochi anni prima. Il legale del 36enne, l'avvocata Rosemary Dos Anjos, nel processo che si è celebrato con rito abbreviato dalla giudice Sara Cipolla, prova tra gli altri argomenti a sostenere che il suo assistito avrebbe l'alibi dell'incomprensione culturale.

L'uomo non sarebbe insomma riuscito a cogliere i segnali del dissenso della ragazza. Peccato che, come segnala la gip nel provvedimento di condanna a 6 anni, la giurisprudenza in questi casi è «granitica». «Non c'è onere» da parte della vittima a «manifestare il dissenso», semmai il contrario. Vale sempre il no all'atto sessuale quando «non sussistano indici chiari ed univoci volti a dimostrare la presenza di un pur tacito, ma inequivoco, consenso». Per di più, l'uomo ha picchiato la ragazza (il referto della clinica Mangiagalli dove è stata trasportata subito dopo gli abusi, non lascia alcun dubbio sulle lesioni subite), per cui «nessun fraintendimento sulla base di differenti sistemi culturali».

L'imputato a processo, peraltro, ha anche mentito dicendo che la ragazza lo avrebbe seguito per «la bianca» (la cocaina, ndr), una circostanza rivelatasi infondata. Quanto alla vittima, segnala sempre la giudice, le «cicatrici» sono ancora presenti, nonostante il percorso intrapreso da diversi mesi con una psicologa.

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