José Maria Aznar è commosso. «Ho perso un amico». Sfoglia l'album dei ricordi e parte proprio dal primo, dall'inizio, da quel primo giorno che Silvio Berlusconi andò a trovarlo a Madrid.
«Era il 1993. Non lo avevo mai incontrato di persona, ovviamente avevo seguito la sua storia imprenditoriale, conoscevo i suoi successi, la passione per il Milan e il progetto di costruire una grande squadra, mi affascinava quel suo modo di pensare e sognare in grande. Io ero già in politica da tempo, e tre anni prima avevo ottenuto la guida del Partido Popular, che fino all'anno prima si chiamava Alianza Popular. Il mio percorso per rinnovare profondamente il movimento, per fare del partito una forza centrista e moderata era già ben avviato. Venne a trovarmi per chiedermi consiglio».
Quale?
«Se entrare in politica o no. Un consiglio decisamente impegnativo da dare».
E lei cosa rispose?
«Gli risposi come Indro Montanelli. Gli consigliai di lasciar perdere, che la politica era ben più complicata e complessa del mondo dell'imprenditoria. Insomma, suggerii di lasciar perdere. Ma sappiamo come è andata a finire e che non mi ascoltò».
Perché venne proprio da lei?
«Evidentemente in me vedeva una guida, la mia idea di partito era molto simile a quella che aveva in mente lui, un movimento con una grande forza rinnovatrice, in grado di promuovere un cambio generazionale. Era quello che il vostro Paese aveva bisogno allora».
E lui cosa rispose?
«Vede, non si può parlare di Berlusconi senza considerare il suo carattere, il suo modo di essere. Gli chiesi perché un imprenditore di successo avrebbe dovuto scendere in campo con tutto quello che avrebbe determinato. Una complicazione di cui secondo me poteva fare a meno. Mi guardò dritto negli occhi e mi disse: Perché ho avuto successo in tutto quello che ho fatto, riuscirò anche questa volta. Era un grande motivatore, prima di tutto di se stesso, con l'ottimismo sempre in tasca. E la politica è stata, ora si può dire, la sua vita. La sua ambizione più grande fino alla fine».
Dopo quel consiglio siete stati sempre molto legati.
«È vero. Ci ha legato da sempre una profonda amicizia. Berlusconi è sempre stato un grande alleato della Spagna».
Lo aiutò a entrare nel Ppe?
«Per lungo tempo fu considerato un outsider della politica e questo gli ha reso le cose difficili. Molte forze politiche tradizionali lo ostacolavano. Io non la pensavo così: bisognava avere il coraggio di aprire, indebolire l'area nazionalista, insistere sulla destra liberale. Sono sempre stato convinto che Forza Italia doveva entrare a pieno titolo nel progetto. I tempi erano maturi, la Dc non esisteva più, c'erano spazi da colmare, occorreva investire energie per difendere i valori democratici moderati, convincere il gruppo del Ppe ad aprirsi. Dopo l'entrata di Berlusconi, insieme e in squadra lavorammo per accogliere i francesi con Chirac. Insieme siamo riusciti a fare grandi cose, ad esempio il trattato di Nizza che per riformare il quadro istituzionale dell'Ue in vista di nuove adesioni».
In comune con Berlusconi aveva anche una forte visione atlantista.
«Era un atlantista convinto. Con Bush condivideva posizioni fortemente riformatrici. E poi ci fu quell'incontro consegnato alla storia».
Pratica di Mare?
«Esattamente. Fu un fatto storico enorme. Nel 2002, Berlusconi riuscì nell'impresa incredibile di far stringere la mano a Bush e Putin sancendo così la fine della Guerra fredda. E anche in questa occasione straordinaria devo ammettere che il carisma e il carattere dell'uomo furono determinanti. Negli incontri bilaterali è sempre emersa la sua personalità».
Il suo carattere e i suoi modi poco convenzionali erano spesso oggetto di critica. Cosa ne pensa?
«Le racconto un aneddoto. Io e altri leader europei eravamo stati invitati da lui in Sardegna. Siamo a cena, chiacchieriamo, quando uno di noi prende la parola per ammettere: Ora si può dire che Silvio Berlusconi è uno di noi. Io allora controbatto: Mi spiace contraddirti ma Silvio non sarà mai come noi. La sua forza, il suo carisma erano unici».
Quale è stato il suo merito più grande?
«Ha saputo rendere l'Italia una protagonista. Si è preso sulle spalle un Paese con coraggio, volontà e talento».
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