«Io, innamorato del disegno lascio la strada e divento pittore»

«Io, innamorato del disegno lascio la strada e divento pittore»

La cartella sotto braccio. La stringono mani sottili sotto il giubbetto di pelle. «Piacere, Meroni». Detenuto Meroni Francesco Luigi, Casa circondariale di Chiavari, anni 23, capelli biondi rasta e occhi azzurri, «obliqui» aggettivava Pasolini nell'Edipo Re per fermarne il taglio e il tempo. Dentro e fuori dal carcere. «È l'ultima volta», te lo dice e glielo leggi in quella passione schizzata a matita sulla carta: «Voglio impegnarmi davvero, andrò all'Accademia, seguirò sceneggiatura o pittura». Quattro anni di istituto d'arte, un diploma di grafico pubblicitario, frequenta la scuola all'interno, partecipa a concorsi, «ne ho appena vinto uno, mi hanno chiamato da Roma per complimentarsi»; e disegna, senza sosta, su commissione, su ispirazione. Disegna l'angoscia e la rabbia. Disegna la provocazione. Disegna l'orrore cinico. Disegna il sorriso che c'è al di là del fiume, tra gli alberi di un futuro-spiraglio. Sfoglia gli A4 del tempo perso, soggetti per tatuaggi: draghi e fiori. L'iconografia classica del demone giapponese con rivisitazioni in chiave moderna. Un po' macabri. «L'idea iniziale era di tatuare». L'occhio tagliato da una forbice, come l'occhio del Bunuel di «Un chien Andalou» segato dalla lama. Surreale e agghiacciante. «Sono soggetti del tatuaggio giapponese. Ho praticato dieci anni di arti marziali approfondendone la filosofia. Non l'ho applicata, ma è affascinante quel rapporto fondato su rispetto e onore». Francesco è di Barlassina, Milano. Va via di casa a sedici anni, litiga con i suoi, scappa dalla «filosofia dell'inutile». È un adolescente arrabbiato e cerca. Vive la strada, fa il madonnaro, l'artista on the road. E si perde. Da Milano a Bologna dove vive per otto anni e intanto viaggia. Roma, Firenze, la Sicilia. Il blocco sotto il braccio, i capelli che si allungano, s'intrecciano, e memorizzano quei pezzetti di vita. Un foglio con un murales wildstyle: «L'ho realizzato su una parete di 5 metri in mezz'ora» complesso e colorato, con la sua firma «Hipnos, il dio del sonno». Francesco suonava basso e percussioni, «in tivù guardavo i video musicali e sullo sfondo dei rapper spesso c'erano questi writings. È arte per strada, anticonvenzionale, una sorta di provocazione artistica». Di corsa, prima che t'acchiappino: «Ma resta la tua opera, che tutti possono vedere. Poi ho mollato, non ci stavo dentro con i costi». Francesco gira col suo book, si propone come decoratore d'interni ed esterni. Tanto entusiasmo, soldi pochi. Ipotesi, promesse. «Papà mi diceva che i pittori fanno soldi dopo morti». Sfoglia Francesco: Bob Marley e la bambola assassina, «un mio delirio». Solo matita, chiaro-scuro, un tratto via l'altro, di emozione in dolore. L'anima in mano, scucita e ricomposta. L'autoritratto allo specchio: boccoli prima della trasformazione. Poi la ragazza abbandonata sulla sedia, «una tossica, guarda che brutta faccia. Un modo per fare capire la differenza tra il bene e il male». Il trans in croce, due scheletri in giacca e cravatta a contare soldi: «Contro tutta questa pubblicità; contro chi ci specula sopra». E l'angelo caduto, «la deriva dei valori». Il writer che acchiappa la matita e con grazia schizza l'orrore, la paura, la provocazione, il rifiuto. «Mi sento un artista post romantico: dipingo per me, dipingo quello che sento e come mi pongo. Ci sono momenti che copio, che lavoro su commissione, e poi ci sono i momenti dell'arte». Gli occhi obliqui scintillano. Ti dice che sulla coscia ha tatuata un'araba fenice: ha voglia di risorgere il ragazzo. I suoi guru il Caravaggio e Fussli; poi il ricordo dell'incontro con Sergio Toppi, «l'illustratore più bravo che ci sia; l'ho conosciuto e ho avuto l'onore del suo commento ai miei disegni». Materia in divenire; Francesco, misurato, raccoglie i suoi disegni ed estrae l'ultimo: un non-uomo o una non-donna e una maschera rossa in mano, «simbolo di tristezza evidente e ingiustizia.

Ma lui-lei comunque sorride, perché la felicità può esserci». Ti lascia con quell'immagine negli occhi, tanto scura quanto presaga. La cartella sotto il braccio e tempo scaduto. L'appuntamento è fuori, con l'arte al futuro per ricominciare a vivere.

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