Silvia Colasanti (Roma, 1975) scrive musica che, a differenza di tanta contemporanea, riesce ad andare oltre il primo battito d'ali entrando nel repertorio di teatri e interpreti. Nel 2024 la sua carriera si arricchirà di un tassello importante: verrà eseguita in uno dei più importanti teatri al mondo, così come ha tradotto in musica il Prologo e alcune parti della Medea di Euripide da maggio al Teatro di Siracusa.
Stasera venerdì (24 febbraio) e poi domenica (26) l'Orchestra Verdi di Milano battezza nel proprio Auditorium un suo brano per controtenore e orchestra ispirato ai Sonetti di Shakespeare, prima e dopo di lei si ascolteranno Macbeth di Strauss e la Suite dal Romeo e Giulietta di Prokofiev.
Come si sta fra i giganti Strauss e Prokofiev?
«L'oggi vive dentro una storia. Per questo ho sempre cercato di essere eseguita in programmi con pagine già in repertorio: sono occasioni importanti per comprendere la continuità fra passato e presente. Certo, è sfidante figurare tra i giganti di ieri».
Per dire che non è ai puristi della contemporanea che si rivolge.
«Penso che lo spettatore provvisto degli strumenti per decodificare Mozart o Beethoven possa comprendere anche la musica dell'oggi. Detto questo, manifestazioni concentrate sul solo presente, penso alla Biennale di Venezia per esempio, rimangano spazi preziosi. In generale è però dannoso concentrarsi solo sull'oggi».
Nel film Vacanze intelligenti la scena in cui Alberto Sordi assiste a un concerto ricorda i danni fatti da quella musica contemporanea superbamente scollata dal pubblico.
«Erano gli anni dell'avanguardia, anni preziosissimi, di ricerca, e la ricerca è componente essenziale dell'arte. È però opportuno non rimanere imbrigliati in quella fase: la ricerca deve tradursi in intensità espressiva, noi compositori non scriviamo saggi di filosofia, facciamo musica e dobbiamo esprimerci con chiarezza consapevoli che dall'altra parte c'è un destinatario».
Sono in aumento le direttrici d'orchestra, le soliste, le orchestrali, ma non ancora le compositrici. Che fare?
«Vero, la bilancia pende ancora dall'altra parte, ma non lo trovo preoccupante, un retaggio di secoli non lo cancelli con due decenni. Conta vedere che le donne di valore riescono ad affermarsi».
E la cosa accade senza usare la leva delle quote rosa come si vorrebbe fare.
«Una leva che non serve ed io sono un esempio concreto. Negli Usa i musicologi sono tenuti a citare nei propri testi musicisti rappresentativi di ogni genere sessuale ed etnia: non conta la qualità ma la par condicio».
Un commento.
«Un approccio assurdo. Contano i meriti, non i generi o altro. È ridicolo menzionare figure marginali in nome di supposti equilibri. C'è un fatto, la storia purtroppo ha relegato le donne a ruoli esclusivamente familiari, le donne compositrici sono presenti in piccolissima misura perché mancarono gli spazi, non i meriti: ma rimane il fatto che scarseggiano. E poi anziché guardare sempre indietro, concentriamoci sul presente, sulle opportunità che in questa fase tutti possiamo cogliere».
Contraria alle battaglie di genere?
«Preferisco quelle del merito. Se ti impegni e hai talento ce la fai».
Verdi nacque contadino e morì milionario. I compositori del passato avevano un mercato, venivano eseguiti. Prova nostalgia per ciò che è stata la sua professione?
«Premesso che io lavoro moltissimo, quindi mi guardo bene dal lamentarmi, la verità è che i nostri cartelloni ospitano tanto passato e poco presente.
Gli enti che commissionano opere nuove, e penso all'Orchestra Verdi ma non solo, lo fanno perché credono che l'artista possa avere uno sguardo importante sull'oggi e che possa dialogare col suo pubblico, credono nel presente: è questo il punto. Abbiamo un patrimonio ricchissimo perché qualcuno ha creduto negli artisti, li ha fatti lavorare. Da un lato le istituzioni devono credere in noi, dall'altro i compositori devono sforzarsi di comunicare con forza».
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