Le ipocrisie della Campania rossa

Le ipocrisie della Campania rossa

Salvatore Scarpino

Piano piano, zitto zitto il carattere politico della Campania s’è andato modificando, anche nelle connotazioni specifiche del malaffare: la terra in cui è governatore Antonio Bassolino da qualche anno è una regione rossa a tutti gli effetti, come l’Umbria, come la Toscana. Giunte di sinistra e di centrosinistra hanno conquistato città e centri importanti e si modificano anche i sistemi di utilizzare illecitamente il potere. Persistono le infiltrazioni camorristiche vecchio stile e qualche mese fa sono stati sciolti cinque consigli comunali (anche la sinistra si lascia infiltrare e corrompere e partecipa alla spartizione dei bottini), ma si profilano anche schemi più moderni di spoliazione delle risorse pubbliche. Salerno è sotto questo profilo un laboratorio interessante: la sua Tangentopoli è esemplare perché mostra la sinergia possibile fra potere politico, potere amministrativo, imprenditori che non amano il rischio, assistenzialismo e fumo negli occhi, il tutto coperto dalla retorica della modernizzazione e del «progressismo» che sarebbero l’essenza della politica di sinistra. Vatti a fidare. Un altro tocco significativo, nei progetti legati all’interessato stravolgimento del piano regolatore di Salerno c’era anche la realizzazione di un ipermercato delle Coop (rosse): ecco un segno del vecchio che avanza dopo essersi affermato in Emilia e in altre regioni utilizzate dal Pci e dai suoi eredi con un ferreo sistema di difese collegate e che ha fornito risorse a una precisa parte politica. L’occhio del partito ingrassa il cavallo.
A Salerno tutta questa modernità non ha convinto la procura della Repubblica, che ha messo sotto inchiesta l’ex sindaco Ds, attualmente deputato Ds Vincenzo De Luca, dalemiano di ferro, e il suo successore come primo cittadino, il Ds Mario De Biase, oltre ad altri assessori. Per due o tre volte la Procura ha chiesto l’arresto di De Luca, ma il Gip ha risposto picche. Eppure il giochino di prestigio sul piano regolatore ha messo in moto un affare torbido di 110 milioni di euro. Adesso la stessa procura chiede una proroga d’indagini per i reati di falso e truffa, ma De Luca non pare preoccuparsi molto, è impegnato nella campagna elettorale, perché il partito l’ha ricandidato. Il partito non dimentica i suoi benemeriti e annienta i suoi nemici. Il primo assessore Ds che aveva denunciato l’inghippo, Fausto Martino, era stato processato dal partito e privato della delega; il parlamentare diessino Giovanni Kessler, che nella giunta per le autorizzazioni a procedere aveva votato per l’utilizzo di certe intercettazioni sfavorevoli a De Luca, non è stato ricandidato. Così impara a prendere sul serio i pistolotti sulla «questione morale» in cui si esibiscono i suoi colleghi di partito.
Anche Massimo D’Alema dà prova di una doppiezza esemplare. In tv tuona contro i partiti che candidano gli inquisiti, poi nel cavo della sua Quercia coccola e promuove l’onorevole De Luca. E i meccanismi difensivi del partito si attivano e circondano in maniera protettiva l’ex sindaco.
La Campania sta cambiando, sta diventando proprio una regione rossa, con le sue riserve di ipocrisia e di silenzio, ma i dirigenti cresciuti nell’officina politica del Pci non cambiano mai. D’Alema non ha voluto dedicare alla questione nemmeno un commento piccolo piccolo.

Zitto, dicevamo. Questa vicenda di Salerno, che pure è così istruttiva sia sotto il profilo politico, sia sotto quello sociologico, non gode sui circuiti mediatici dell’attenzione che meriterebbe.

Bordeggia nelle acque basse delle cronache minori, come se riguardasse un Paese lontano, vagamente esotico, anche se lambito del fittizio rinascimento di carta che soltanto la sinistra ha saputo infliggere alla Campania.

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