Istat denuncia: "Bamboccioni triplicati dall'83" E l'Ocse: "Recessione finita ma ripresa debole"

Nel biennio 2008-2009 l'Italia ha la flessione del pil più accentuata in Europa a conclusione di un decennio problematico. Oltre 7 milioni i bamboccioni senza lavoro. L'Ocse stima una crescita del pil dell'1,1% nel 2010 e dell'1,5% nel 2011

Istat denuncia: "Bamboccioni triplicati dall'83" 
E l'Ocse: "Recessione finita ma ripresa debole"

Roma - L’economia italiana arranca, e non solo per colpa della crisi scoppiata due anni fa. Nel biennio 2008-2009 il nostro paese ha avuto la flessione del pil più accentuata in Europa, pari al 6,3 per cento (quasi il doppio della media dell’Eurozona), a conclusione di un decennio problematico: dal 2001 l’economia italiana infatti è quella che è cresciuta meno in tutta l’Unione Europea. È la fotografia scattata dal Rapporto annuale sulla situazione del Paese elaborato dall’Istat. Lo confermano i dati dell'Ocse che stima una crescita del pil dell'1,1% nel 2010 e dell'1,5% nel 2011.

Lo stato di salute dell'Italia La crisi, insomma, ha trovato l’economia italiana già in sofferenza, e sommando il calo del Pil nell’ultimo biennio all’espansione modesta degli anni precedenti, per l’intero periodo 2001-2009 l’Italia è, in assoluto, il paese dell’Ue la cui economia è cresciuta meno: appena l’1,4 per cento, contro il 10 per cento dell’Eurozona e il 12,1 per cento dell’Ue. L’industria manufatturiera in particolare, tradizionale punta di diamante dell’economia italiana, vede variazioni negative della produzione industriale anche fino al 30 per cento, e a ricasco di queste difficoltà zoppicano anche i servizi, dal commercio agli alberghi, dalla ristorazione ai trasporti. In particolare il commercio al dettaglio stenta a recuperare, con un altro calo del volume d’affari nel 2009, il secondo consecutivo.

Colpite le piccole imprese A pagare sono soprattutto le piccole imprese con meno di dieci addetti, che subiscono un calo significativo di fatturati e di produttività, mentre l’occupazione cresce nelle imprese con i maggiori livelli di redditività. Particolarmente preoccupante il crollo dell’export, nell’ultimo biennio precipitato del 20,5%. Ma lo spettro della crisi aleggia soprattutto sulle famiglie, sempre più in difficoltà, e i giovani, sempre più precari o disoccupati. Lo scorso anno in Italia gli occupati si sono ridotti di 380.000 unità (-1,6%): il crollo più sensibile da 15 anni a questa parte. E si accentua il divario tra le due Italie: alla flessione più contenuta del nord fa fronte quella del mezzogiorno, dove si sono persi 194mila posti di lavoro. Un calo complessivo, che interessa sia lavoro temporaneo che autonomo, e anche quello a tempo indeterminato. Anche se, naturalmente, a soffrire sono soprattutto i dipendenti a termine e i collaboratori, che pagano un duro prezzo alla crisi: 240.000 unità in meno nell’ultimo anno. In sostanza, in dodici mesi su 100 lavoratori atipici 23 hanno perso il lavoro: di questi 8 sono ufficalmente disoccupati, 15 diventano inattivi. A conferma di un altro fenomeno preoccupante, cioè il boom degli "inattivi", ossia coloro che rinunciano a cercare lavoro.

Il tasso di disoccupazione Analizzando il solo tasso di disoccupazione, infatti, quello italiano non è il peggiore, anzi con il 7,8% è migliore della media Ue. La differenza è proprio nel tasso di inattività, che ha raggiunto da noi quota 37,6% contro una media del 28,9%. Di fronte alle crescenti difficoltà di trovare un impiego aumenta il senso di scoraggiamento negli individui, che rinunciano del tutto a cercare lavoro. Non a caso dopo la riduzione di 110 mila unità del 2008, nel 2009 gli inattivi aumentano di altre 329 mila unità, una crescita maggiore di quella registrata dai disoccupati. Disoccupati che comunque, per il secondo anno consecutivo, aumentano e raggiungono quasi quota due milioni. In questa massa spicca il numero dei giovani: il tasso di disoccupazione giovanile in Italia è al 25,4%, molto più elevato di quello europeo. La crisi per i giovani sotto i 29 anni ha significato, solo nel 2009, 300mila posti in meno rispetto al 2008, un crollo di oltre tre punti percentuali. Anno nero in particolare per i figli che ancora vivono a casa con la famiglia, "salvati" proprio dalla protezione familiare. Anche questo trend, tradizionale in Italia, potrebbe però peggiorare: molti capifamiglia hanno mantenuto un livello economico decente solo grazie alla Cassa integrazione, che ovviamente è a termine.

Basso indebitamento In ogni caso, a tenere a galla le famiglie italiane è il basso indebitamento, un fenomeno di lunga durata che rende la ricchezza finanziaria netta delle famiglie ben più grande (circa il doppio) del pil. Proprio la solidità delle famiglie italiane, rileva l’Istat, ha attutito gli effetti della crisi garantendo la tenuta del paese. Ma la crisi significa anche un drastico calo nell’occupazione femminile, sceso nel 2009 al 46,4%, all’ultimo posto in Europa a parte Malta. Solo nel sud si registrano nel 2009 105mila donne lavoratrici in meno. Il peggioramento delle condizioni del mercato del lavoro, inoltre, imprime una battuta d’arresto alla crescita femminile nelle professioni più qualificate e spinge verso una ripresa del fenomeno della segregazione professionale di genere, con un rafforzamento della presenza delle donne nelle professioni già relativamente più femminilizzate. Unica categoria a guadagnare posti di lavoro è quella degli stranieri, anche se in otto casi su dieci si tratta di professioni non qualificate e a bassa specializzazione. In questo quadro a tinte fosche, il rapporto Istat individua alcuni elementi di speranza: i dati del primo trimestre 2010 segnalano che l’Italia ha agganciato il treno della ripresa, con un incremento della produzione industriale e un recupero di comparti dinamici come l’industria tessile, l’abbigliamento, i prodotti chimici.

Triplicati i bamboccioni Sono celibi, prevalentemente maschi, rimangono in famiglia sempre più spesso per problemi economici, ma uno su cinque non lavora e non studia. È l’esercito di sette milioni di "bamboccioni", i giovani tra i 18 e i 34 anni che vivono ancora insieme ai genitori, fotografato dal rapporto Istat 2009. Gli studendi sono un terzo dei giovani che vivono in famiglia, gli occupati il 42,5%. Ma è in crescita un fenomeno allarmante: nel 2009, segnala l’Istat, poco più di due milioni di giovani, ossia il 21,2 per cento degli under 29, risulta fuori dal circuito formazione-lavoro: in pratica non studia e non lavora. Un dato che è poco meno del doppio rispetto alla media dei paesi Ocse. È il fenomeno chiamato neet, ossia not in education, employment or training, che si arricchisce di anno in anno con la progressiva uscita dei giovani dal mercato del lavoro. Tra il 2008 e il 2009 i giovani tra i 20 e i 24 anni sono aumentati del 13 per cento, e nel sud sono il 30,3% (contro il 14,5% del nord). E sono sempre più scoraggiati: l’incremento dei giovani ’Neet’ in condizione di inattività per la rinuncia alla ricerca attiva di un lavoro è sensibile nel 2009.

Le difficoltà nel lavoro La difficoltà di trovare un’occupazione tiene 436mila giovani, già fuori dei canali di istruzione e formazione, lontano dal mercato del lavoro, almeno quello regolare. In generale, tra i giovani "bamboccioni" prevalgono i ragazzi: tra i 30 e i 34 anni più di un terzo dei celibi non "spicca il volo", contro un quinto delle nubili. Italia divisa: al sud i giovani sotto i 34 anni che vivono in casa sono i due terzi del totale, contro la metà del nord-est. In ogni caso l’Istat segnala il disagio crescente dei giovani condannati a una lunga permanenza in casa: i 18-34enni non considerano più la propria permanenza in famiglia come una comoda attesa del lavoro resa più semplice da spazi di autonomia, ma come una rinuncia a causa delle scarse risorse economiche. Non a caso i giovani che rivendicano come una scelta lo stare in famiglia scendono di dieci punti percentuali tra le femmine e di nove tra i maschi e si fermano attorno al 35 per cento. Per tutti gli altri, è solo una dolorosa necessità.

La pressione fiscale La pressione fiscale in Italia è salita al 43,2% nel 2009, aumentando di tre decimi di punto rispetto al 2008 (42,9%). Una pressione fiscale che amplia lo stacco di oltre tre punti percentuali con la media Ue che l’anno scorso si è attestata al 39,5% (dal 40,3% del 2008). Oltre il 15% delle famiglie vive in condizioni di disagio economico, con una percentuale che supera il 25% nel Mezzogiorno. Nel 2009 il potere d’acquisto pro capite è scivolato sotto il livello del 2000. La crisi pesa di più sui lavoratori stranieri che italiani. Il tasso di occupazione dei primi è infatti calata nel 2009 a ritmi doppi rispetto ai secondi. Per gli italiani infatti il tasso di occupazione (56,9%) è diminuito nel 2009 di oltre un punto percentuale, mentre per gli stranieri la flessione è stata più che doppia (dal 67,1% del 2008 al 64,5% dell’anno scorso). Anche il tasso di disoccupazione è maggiore per gli stranieri, 2,7 punti (11,2%) in più rispetto a 0,9% degli italiani (7,5%). L’Istat rileva inoltre che i ’bamboccionì lasciano il posto ai conviventi forzati con i genitori, costretti dai problemi economici. In sei anni (dal 2003 al 2009) sono calati di ben nove punti i giovani (18-34 anni) che per scelta vogliono vivere nella casa dei genitori.

Recessione finita La recessione in Italia è finita "a metà del 2009" ma la ripresa sarà lenta. La diagnosi è dell’Ocse che nel suo Economic Outlook di primavera conferma per il nostro Paese le previsioni di crescita fatte in autunno, nonostante la revisione al rialzo effettuata per la media dell’area. In particolare, stima l’organizzazione di Parigi, il nostro Pil salirà dell’1,1% nel 2010 e dell’1,5% nel 2011. Insomma, un rimbalzo "limitato", destinato a rafforzarsi "di poco" l’anno prossimo. Una ripresa "debole, in linea con le performance registrate nel decennio precedente" la crisi.

A risentirne sarà la disoccupazione che, calcola l’Ocse, si attesterà all’8,7% nel 2010 e salira all’8,8% nel 2011. Promosso però il Governo la cui politica, si legge nel documento, ha consentito di mantenere sotto controllo l’andamento del deficit pubblico e quello del mercato del lavoro.

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